25. Spinario Capitolino
Lo Spinario del Campidoglio è, senza dubbio, una delle statue antiche che hanno goduto di maggiore fortuna dal Medioevo in poi, non solo perché è una delle poche sculture in metallo che a Roma non siano state fuse al fine di recuperarne il materiale, ma anche perché apparteneva al nucleo originario di bronzi che diede vita alle raccolte capitoline, grazie alla donazione di papa Sisto IV nel 1471. Questa immagine di giovinetto seduto su una roccia, intento a togliersi una spina dal piede sinistro, rappresenta un’opera eclettica che combina influssi diversi, unendo a un corpo morbido e variamente articolato nello spazio, di tradizione ellenistica, una testa chiaramente ispirata a modelli più antichi, in particolare dell’epoca dello “Stile severo” (480-450 a.C. ca.). Alcune peculiari soluzioni stilistiche, soprattutto nei capelli, permettono di assegnare alla statua, probabilmente derivata da un prototipo tardoellenistico, una cronologia successiva alla metà del I secolo a.C., un periodo in cui a Roma erano assai diffuse opere che, come questa, amalgamavano spunti desunti da momenti differenti della produzione scultorea greca. Nel bronzo capitolino, il cui tipo è attestato anche da altre repliche e varianti conservate in luoghi diversi, si può verosimilmente riconoscere una figura di genere, concepita per essere inserita in uno scenario naturale di rocce e rovi, piuttosto che un preciso personaggio mitologico o leggendario, come si propendeva un tempo.
Numerosi artisti dei secoli passati hanno dedicato un interesse particolare al tipo dello Spinario, replicandone lo schema e rielaborandolo nelle loro composizioni. Un esempio molto noto è costituito dalla formella che Filippo Brunelleschi presentò al concorso del 1401 per la porta nord del Battistero di Firenze, dove per la figura di uno dei servi di Abramo è ripreso proprio il motivo dello Spinario.
Calco in scala 1:1, su plinto circolare che riproduce la base della statua capitolina. Le orbite oculari, a differenza di quelle dell’originale bronzeo, non sono cave. Nel collo è visibile una frattura, mentre le dita del piede destro, evidentemente distaccatesi in seguito a un danno in epoca non precisabile, sono state incollate. Si riconoscono i tasselli della lavorazione. Nell’alzata del plinto, in posizione vicina al tallone destro della figura, è inciso a mano nel gesso il marchio di fabbrica del produttore, analogo a quelli presenti sui nrr. 5 e 15: “DITTA FERRAZZI PAOLO FORMATORE VIA BELSIANA 29-30 ROMA MCMXVI”.
Inventario: SA 235.
Misure: cm 77 x 51.
Bibliografia: S. Rambaldi, La Gipsoteca del Dipartimento Culture e Società dell’Università degli Studi di Palermo. Storia e Catalogo, Palermo, Palermo University Press, 2017 (“Artes”, n.s. 2), pp. 82-83, nr. 25 (con bibliografia di riferimento sull’originale).