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Il pro-rettore alla Ricerca Girolamo Cirrincione interviene sulla web radio Unipa

21-gen-2016

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“La ricerca dovrebbe essere il pilastro dell’Università, ma si  scontra con problemi oggettivi di spazio, di disponibilità finanziaria, di organico e quant’altro”. A dichiaralo il pro-rettore prof. Cirrincione, ordinario di “Chimica farmaceutica” presso il dipartimento di Scienze e tecnologie biologiche chimiche e farmaceutiche e presidente di Chimica farmaceutica della Società di Chimica italiana.
“Il turnover è stato limitato al 10 per cento, per cui il problema dello spazio è meno pressante adesso. I fondi si in quanto abbiamo seri problemi di finanziamento alla ricerca anche se negli ultimi sette anni, l’accesso ai fondi europei, sia diretti che indiretti è stato molto più ampio. Io mi sono trovato a cominciare questo incarico nel periodo di fine di un settennato e comprende, essenzialmente, la rendicontazione di POR e PON, che coinvolgono qualcosa come centocinquanta milioni di euro. Con questi fondi l’Ateneo è riuscito a svolgere delle ricerche soprattutto di pregio. Da vecchio ricercatore, prima mi dedicavo esclusivamente alla ricerca di base. Con l’evolversi dei tempi mi sono reso conto che bisognava fare qualcosa che potesse dare una ricaduta non a lungo termine ma a breve e medio termine, una ricaduta per la società. Mi è venuto spontaneo avvicinarmi a quelle tematiche che magari i ricercatori di base pensavano che fosse di qualità, un pochino più bassa la ricerca di serie B, ma proprio tale ricerca è quella che serve alla società per migliorare se stessa. Noi non abbiamo industrie o comunque si contano tra le dita di una mano, ma abbiamo un territorio in cui la risorsa più grande è appunto la varietà della produzione agricola, i beni culturali. In Italia vi è una grossissima percentuale di beni culturali del mondo, ma in Sicilia ce n’è metà rispetto all’Italia per cui è il territorio  giusto dove poter sviluppare queste ricerche e noi siamo in prima linea”.
Il tessuto produttivo siciliano è poco presente sul mercato nazionale e internazionale, ma conta sulle risorse umane che magari spiccano il volo perso l’estero.
“Il Siciliano è mediamente schivo, non pensa a pubblicizzare quello che fa. Io per esempio sono un rappresentante di questa tipologia di persone, basta andare al Nord, andare in una Istituzione, i vertici sono ricoperti da siciliani. Mia figlia lavora a Milano, ricopre un ruolo di prestigio in una multinazionale e non sono contento che lavori lontano dagli affetti però è  l’unica risorsa, e come mia figlia ce ne sono migliaia di siciliani che hanno acquisito le competenze da noi e poi vanno a spendere la loro conoscenza altrove dove altri ne godono”.
L’Università di Palermo ha centri di ricerca di eccellenza soprattutto nell’ambito delle materie tecnico scientifiche.
“Sì, a Carini vi è Rimed, che sarebbe l’analogo dell’ITT di Genova che ancora è in fase di rodaggio nella sua completa attività, e uno dei miei compiti è quella di collegare l’ateneo con Rimed per avere una sorta di sinergia che possa essere utile sia all’ente che all’ateneo stesso.
Secondo Lei l’ateneo dovrebbe investire ulteriormente in questi centri di ricerca oppure i centri sono già sufficientemente forti e hanno bisogno semmai di un aggancio con la realtà produttiva
Penso che dobbiamo fare in maniera tale da sviluppare le potenzialità, e ce ne sono tante, nel nostro ateneo, considerando i mezzi che abbiamo a disposizione in termini di strumenti e di risorse finanziarie”.
Il prof. Cirrincione auspica più attenzione per la ricerca. “La Regione non ha curato tanto gli atenei siciliani. Si danno moltissime risorse per la formazione in Sicilia, ma alle università arrivano le briciole o nulla. Occorre pertanto incrementare i fondi e avere una maggiore attenzione verso gli studenti. I nostri studenti non hanno le strutture che meriterebbero. Va bene che pagano le tasse più basse d’Italia, ma avrebbero bisogno di più spazi, migliori aule e laboratori”.
Infine il pro-rettore alla Ricerca auspica un maggiore turnover. “Noi abbiamo tantissimi giovani ricercatori che  mostrano un attaccamento al lavoro e alla istituzione cui non appartengono, e mi riferisco ai borsisti, assegnisti e volontari che lavorano dalla mattina alla sera, li guardo con tenerezza perché non so come assicurare loro un futuro all’interno dell’Ateneo che meriterebbero sicuramente”.

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