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FRANCESCA PEDONE

Verso una didattica dell’inclusione e per l’inclusione

Abstract

Parlare di inclusione, oggi, ci porta indubbiamente ad addentrarci in uno dei sentieri di riflessione più battuti negli ultimi decenni. Riflessioni dense, articolate, profonde, importanti ma che, tuttavia, sembrano orientare verso differenti orizzonti di senso1, alimentando rischio di cadere in un’ambiguità semantica se isolate da coordinate contestuali e teoriche (Bocci 2019; 2020; Liasidou 2012; Medeghini 2018). In ottica sistemica (Ainscow, Booth e Dyson 2006) e trasformativa (Bocci 2018; Booth, Nes e Strømstad 2003; D’Alessio, Medeghini, Vadalà e Bocci 2015), esso assume i tratti di un percorso dinamico, mai assolutamente compiuto, verso la creazione di una nuova cultura democratica caratterizzata da una radicale apertura verso l’alterità, capace di cogliere e valorizzare tutte le differenze possibili (Booth e Aiscow 2014). Affinché i risultati dei processi inclusivi possano costituire reali passi in avanti in termini di empowerment (Fiorin 2017), sviluppo, e convivenza democratica è necessario, però, che essi vengano pensati e articolati alla luce di un progetto fondato sull’esperienza e leva di interlocuzione dialettica tra teoria e pratica, una praxis come circolare sapere-agire trasformativo mosso verso la promozione e l’alimentazione del cambiamento (Freire 1970/2002). Ecco, allora, che abbracciare questa prospettiva in ambito educativo e scolastico significa accogliere il paradigma della complessità quale lente privilegiata per leggere e interpretare la realtà (Bocci 2021b) e, superando una visione riduttiva dell’educazione inclusiva come garanzia del diritto di accesso ad una istruzione di qualità per tutte e tutti, assume i tratti di un approccio democratico rivolto a tutte e tutti, connesso alla partecipazione attiva entro ed oltre l’educazione stessa; un’educazione concepita come sostegno sociale all’auto-costruzione di sé, come pratica di libertà ed insieme promozione di uguaglianza (Vadalà 2018). Si tratta in primo luogo di superare una logica integrativa di matrice assimilazionista, fondata sulla dicotomia normale-speciale, che si concentra solo su alcune categorie di alunni o su alcuni bisogni, escludendone di fatto altri, e che richiede l’adattamento dell’alunno, seppur con il supporto necessario, a contesti e modelli già stabiliti e pre-esistenti (Dovigo 2019), richiedendo il passaggio da una pedagogia reattiva, dell’emergenza, ad una pedagogia della consapevolezza, proattiva, impegnata sin dal processo di progettazione ed individuazione di obiettivi, strategie e strumenti affinché nessuno sia escluso o svantaggiato (Cottini 2017; 2019; Moscato e Pedone 2022). L’educazione, in prospettiva inclusiva, non può essere fondata su visioni e pratiche basate sul deficit o sull’abilismo (ovvero l’accettazione da parte della società di un sistema che attribuisce valore agli individui sulla base di idee di normalità, intelligenza ed eccellenza costruite dalla società), ma deve essere aperta e reattiva alla complessità della diversità umana (Cologon 2019). Florian (2019) sostiene che i processi educativi debbano avvenire in sistemi che non emarginano alcuni studenti a causa di strutture organizzative e curriculari che li classifichino sulla base di giudizi predeterminati su chi sono e cosa possono e dovrebbero imparare. Ciò implica un ripensamento radicale sia del modo in cui gli studenti vengono identificati e supportati in contesti educativi inclusivi, sia di come mettere la diversità al centro di un sistema educativo per garantire che sia veramente inclusivo. In altri termini l’educazione inclusiva si basi sull’idea che le barriere all’apprendimento emergono non dagli studenti e dalle loro caratteristiche, ma dalla loro interazione con le componenti del sistema educativo. Nelle pagine seguenti vedremo come l’azione professionale degli insegnanti, volta a rimedia