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DUCCIO COLOMBO

Geopolitica della verecondia, o Stalin il Braghettone: censura politica e censura moralizzatrice in URSS

Abstract

Due leggi recentemente discusse al parlamento russo, tese a punire le oscenità anche nelle opere letterarie e l'uso “ingiustificato” di parole straniere, sono un'occasione per indagare il rapporto tra censura politica e censura moralistica, di cui è ben nota l'importanza nel periodo stalinista e poststalinista, ma il cui legame è stato raramente considerato. Se per quanto riguarda la censura politica non resta molto da scoprire, lo straordinario moralismo del regime sovietico a partire dagli anni Trenta contiene elementi di contraddizione tanto con tensioni verso la liberazione dei costumi presenti nel discorso bolscevico del periodo precedente quanto con la retorica dell'”uomo nuovo” che si andava sviluppando negli stessi anni. Una prima spiegazione può essere rintracciata nel noto riaffiorare di valori “borghesi” nella società stalinista; l'estremismo della censura è legato piuttosto alla peculiare poetica del realismo socialista: l'arte, in quel sistema, è considerata strumento di azione diretta sulla psiche del percettore, la contemplazione astratta è bandita per principio, e dunque la classica giustificazione del nudo è inapplicabile.