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Culture e Società

20. Venere dei Medici

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La Venere dei Medici, statua celebratissima in epoca moderna, rappresenta una rielaborazione tardoellenistica (collocabile nel I secolo a.C.) di quella che, a sua volta, era una delle più famose creazioni di uno dei maggiori maestri del periodo classico, vale a dire l’Afrodite Cnidia di Prassitele. Fra le sculture in vario modo derivate da quel modello (cfr. i nrr. 18 e 19), la statua degli Uffizi appartiene a un filone che si mantenne abbastanza fedele all’iconografia del tipo originale. Afrodite si mostra in piedi, dopo che si è denudata completamente per poter fare il bagno, ma, rispetto al prototipo, nel quale la dea appariva del tutto ignara che qualcuno ne stesse ammirando la bellezza, qui sembra consapevole della presenza di un osservatore importuno. La testa rivolta di lato, infatti, suggerisce un repentino moto di sorpresa, come se Afrodite si fosse accorta di essere spiata da qualcuno. Ciò spiega il gesto di pudore delle mani, che tentano di celare alla vista la nudità del corpo (le braccia in gran parte sono di restauro, ma attendibili). Un’altra divergenza dal modello prassitelico è data dalla resa più realistica del nudo femminile e dalla maggiore sensualità che esso esprime, conferendo all’immagine divina una più terrena umanità.

A Firenze dal 1677, prima di essere temporaneamente trasferita a Parigi per volere di Napoleone, la Venere fu anche a Palermo, tra il 1800 e il 1802. Ricerche molto recenti hanno dimostrato che la base recante la discussa, ma probabilmente autentica firma di Cleomene ateniese, figlio di Apollodoro (vissuto nella prima metà del I secolo a.C.), non è pertinente. Essa fu adattata, insieme al doppio sostegno costituito da un basso tronco nodoso e un delfino cavalcato da due Eroti, a questa statua di Venere, che era stata ritrovata a Roma in pezzi sull’Esquilino, nell’area delle Terme di Traiano. Non è in ogni caso necessario considerare l’autore della scultura un semplice copista, come perlopiù si riteneva un tempo, perché, pur nel solco della tradizione sopra ricordata, egli potrebbe avere creato un’opera originale.

 

Calco fedele ma in scala molto ridotta, che ha trasformato in una statuetta la Venere dei Medici, di per sé già una figura sottodimensionata. È riprodotto anche il plinto sagomato, però senza l’iscrizione greca nel lato frontale. Si riconoscono i tasselli della lavorazione. Le dita delle mani sono quasi tutte spezzate.

Inventario: GA 435; DCS 3570.

Misure: cm 65 x 18.

Bibliografia: S. Rambaldi, La Gipsoteca del Dipartimento Culture e Società dell’Università degli Studi di Palermo. Storia e Catalogo, Palermo, Palermo University Press, 2017 (“Artes”, n.s. 2), pp. 72-73, nr. 20 (con bibliografia di riferimento sull’originale).