Salta al contenuto principale
Passa alla visualizzazione normale.

Culture e Società

15. Efebo di Subiaco

Ascolta

Talora etichettato nel novero delle sculture riproducenti lottatori diffuse nel periodo ellenistico, rappresentate da opere come il c.d. Gladiatore Borghese oppure le coppie di atleti di Ostia e degli Uffizi a Firenze, il c.d. Efebo di Subiaco sembra meglio interpretabile come personaggio di un gruppo raffigurante i Niobidi, che decorava la villa di Nerone a Subiaco. Qui fu ritrovato insieme a una testa di fanciulla, già ritenuta dormiente, ma forse anch’essa da riferire allo stesso complesso mitologico. Il tema dei figli di Niobe (cfr. il nr. 16), uccisi con le frecce da Apollo e Artemide, per punire la donna che aveva offeso la loro madre Latona, doveva essere infatti particolarmente gradito all’imperatore citaredo, il quale aveva scelto proprio una Niobe per fare il suo debutto canoro a Roma, come racconta Svetonio (Vita di Nerone, 21, 2). Per la scultura, tuttavia, è stata proposta anche una datazione nella prima metà del II secolo d.C., in concomitanza con interventi edilizi nella villa imperiale di Subiaco, soprattutto sulla base del tipo di plinto, il quale si presenta profilato con una modanatura caratteristica del periodo tardoadrianeo-antonino.

Se l’interpretazione come Niobide è corretta, la statua, purtroppo acefala e mutila delle braccia, rappresenta uno dei figli maschi colto nell’atto di cadere dopo essere stato colpito da una freccia, come rivela la sua posizione fortemente sbilanciata in avanti e il suo trovarsi quasi appoggiato a terra con la gamba sinistra piegata (si noti la presenza del puntello sotto il ginocchio). L’originale replicato dalla statua di Subiaco è attribuibile al periodo tardoellenistico, ma non mostra parentele iconografiche con gli altri gruppi di Niobidi conosciuti nell’ambito della scultura antica.

 

Calco in scala 1:1, che riproduce integralmente anche i puntelli e il plinto sagomato. Quest’ultimo, la cui superficie superiore è scabra a imitazione di un piano roccioso, è dotato di un’apposita appendice per l’appoggio del piede destro. La porzione superstite del braccio destro, che nella statua originale è stata ricongiunta alla spalla, è un elemento realizzato a parte e fissato successivamente. Sul fianco sinistro del plinto, lungo la modanatura più bassa, è inciso a mano nel gesso il marchio di fabbrica del produttore, molto simile a quello che è visibile nell’erma di Pericle (nr. 5) e nello Spinario (nr. 25): “DITTA FERRAZZI PAOLO FORMATORE VIA BELSIANA 29-30 MCM[XVI] ROMA”.

Inventario: SA 234.

Misure: cm 143 (ha totale) x 117 ca.

Bibliografia: S. Rambaldi, La Gipsoteca del Dipartimento Culture e Società dell’Università degli Studi di Palermo. Storia e Catalogo, Palermo, Palermo University Press, 2017 (“Artes”, n.s. 2), pp. 62-63, nr. 15 (con bibliografia di riferimento sull’originale).