2. Efebo di Agrigento
Il suolo siciliano ha restituito alcune testimonianze di kouroi di particolare interesse, che di tali sculture arcaiche documentano sia l’uso funerario (come nel caso della statua del medico Sombrotidas da Megara Iblea, oggi a Siracusa), sia l’uso votivo, come attesta questo esemplare acragantino. Esso, infatti, venne alla luce nei pressi del santuario di S. Biagio, consacrato al culto demetriaco.
Tradizionalmente designato come “Efebo di Agrigento”, il piccolo kouros in marmo insulare, ritrovato intorno al 1880, non tiene entrambe le braccia distese lungo i fianchi, secondo l’iconografia consueta per questo genere di sculture, ma tende in avanti il braccio destro, scostandolo dal corpo, nell’atto di recare un oggetto (offerta o attributo) nella mano ora perduta. Tale gesto ha ispirato l’ipotesi che la figura rappresenti il fiume Akragas, sulla base di confronti con le personificazioni dei fiumi locali che compaiono nella monetazione selinuntina, ma, in realtà, per l’interpretazione del kouros non si può evitare di fare riferimento alla produzione attica tardoarcaica e alle sue più aggiornate conquiste formali. Certo databile al 480 a.C. circa, appunto sulla base di taluni dettagli che rimandano al periodo iniziale del cosiddetto Stile severo (480-450 a.C.), come l’impostazione generale e il trattamento delle superfici muscolari, la statua di Agrigento manifesta tuttavia una rigidità nella postura che, negli esiti più significativi della scultura attica coeva, appare meglio superata (ad esempio nel c.d. Efebo di Crizio, più volte richiamato a riscontro).
Da sempre dibattuta l’origine di questo come degli altri kouroi in marmo rinvenuti in area siceliota e italiota, con una polarizzazione della discussione intorno a una basilare disparità di vedute fra chi li considera prodotti locali e chi, invece, li ritiene opere d’importazione. L’ipotesi forse più plausibile è quella che riconduce l’Efebo a un artista acragantino, erede di una tradizione formale locale con accenti peculiari, testimoniata anche da altri manufatti scultorei (ancorché limitati), ma particolarmente sensibile alle istanze attiche più avanzate.
Il calco, in scala ridotta, è mancante della parte inferiore della gamba destra, nell’originale spezzata sotto il ginocchio e priva del piede, ma ricongiunta. Una frattura in corrispondenza del poplite destro è stata sanata durante il recente intervento di restauro.
Inventario: GA 382; SA 535; DCS 19478.
Misure: cm 81 x 39.
Bibliografia: S. Rambaldi, La Gipsoteca del Dipartimento Culture e Società dell’Università degli Studi di Palermo. Storia e Catalogo, Palermo, Palermo University Press, 2017 (“Artes”, n.s. 2), pp. 36-37, nr. 2 (con bibliografia di riferimento sull’originale).