24. Cinghiale
La statua marmorea raffigurante un cinghiale, molto apprezzata fin dall’epoca rinascimentale, fu ritrovata a Roma, in un luogo che non può essere precisato con sicurezza per via di una contraddizione rilevabile nei documenti conosciuti. Fra questi vi è la testimonianza di Pirro Ligorio, il quale riferisce che l’animale sarebbe stato rinvenuto alle pendici dell’Esquilino insieme a varie altre sculture, da lui attribuite a una “caccia di Meleagro” su cui non sono disponibili ulteriori informazioni. Dopo l’incendio che colpì gli Uffizi nel 1762, fu necessario restaurare la scultura, a causa dei danni da essa subiti.
La fiera è rappresentata nell’atto di sollevarsi, con la parte posteriore del corpo ancora adagiata sul suolo roccioso, come se si fosse improvvisamente accorta di una repentina minaccia, che, secondo Ligorio, poteva essere costituita dai cacciatori alla sua ricerca. Il brusco rizzarsi dell’animale sulle zampe anteriori e l’espressione feroce del muso sollevato, con le fauci semiaperte, rendono con viva immediatezza la subitaneità del suo movimento. Il trattamento del pelame, irsuto e di particolare rilievo plastico specialmente intorno al collo, ha fatto postulare una derivazione da un originale in bronzo, riconducibile al gusto animalistico che si rifaceva alla tradizione lisippea, in una fase non troppo avanzata del periodo ellenistico.
Nella prima metà del XVIII secolo, Pietro Tacca realizzò la copia bronzea posta nella Loggia del Mercato Nuovo (oggi sostituita), popolarmente conosciuta a Firenze come il “Porcellino”, tanto famosa da aver surclassato l’archetipo.
Calco in scala notevolmente ridotta, ma molto accurato nella resa del pelame. La presenza delle zanne, assenti nel marmo degli Uffizi ma visibili nel “Porcellino” di Tacca, lascia intendere che sia quest’ultimo il vero originale replicato dal gesso. La base irregolare del prototipo, che lì appare opportunamente sagomata al fine di adattarla allo spazio occupato dall’animale, ha qui assunto la forma di un normale rettangolo. Si possono notare i tasselli della lavorazione e vari chiodini in ferro di rinforzo, di cui emergono le capocchie dalla superficie del gesso.
Inventario: GA 439; SA 536.
Misure: cm 53 x 43 ca.
Bibliografia: S. Rambaldi, La Gipsoteca del Dipartimento Culture e Società dell’Università degli Studi di Palermo. Storia e Catalogo, Palermo, Palermo University Press, 2017 (“Artes”, n.s. 2), pp. 80-81, nr. 24 (con bibliografia di riferimento sull’originale).