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Culture e Società

28. “Antinoo” Capitolino

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La provenienza dalla grande villa di Adriano presso Tivoli probabilmente contribuì a suggerire l’identificazione con Antinoo, il favorito dell’imperatore, per la giovane figura maschile che questa statua rappresenta. Essa infatti rimase a lungo, dopo la sua scoperta nella prima metà del XVIII secolo, una delle immagini più celebri fra quelle in cui si riconosceva il giovinetto amato da Adriano e perito misteriosamente in Egitto, tanto da essere riprodotta in un numero molto rilevante di repliche moderne, benché non suscitasse un unanime apprezzamento da parte della critica settecentesca. Il capo reclinato da un lato e l’espressione assorta, apparentemente soffusa di malinconia, possono in effetti far pensare ad Antinoo; i suoi ritratti, però, mostrano caratteristiche somatiche non del tutto compatibili con la statua capitolina. Al di là del volto idealizzato, che solo per pochi dettagli può ricordare quello di Antinoo, la capigliatura, pur mossa da fitti riccioli, si mostra meno voluminosa di quella che rende facilmente individuabili le tante effigi del giovane bitinio giunte fino a noi. Inoltre la superficie liscia e tesa del corpo nudo, anche tenuto conto dell’azione di chi lo restaurò, si discosta dal più morbido incarnato che di solito contraddistingue il presunto modello nelle varie iconografie in cui lo si trova rappresentato. Il tipo scultoreo, di palese impianto policleteo, sembra adatto per una figura di Hermes (si è pensato che il resto di attributo che reca nella mano destra, parzialmente antico, potrebbe essere quanto rimane del caduceo). Tuttavia non si può essere certi che il giovane sia veramente un dio, poiché potrebbe anche trattarsi dell’immagine idealizzata di un mortale, rappresentato con un aspetto divino. Per la particolare lavorazione della chioma, unitamente all’aura di pensoso classicismo che promana dalla figura, è lecito datare l’opera alla prima età antonina, nel cui gusto ben si inquadra la sua eclettica concezione.

La statua, dopo essere appartenuta alla Collezione Albani, passò ai Musei Capitolini, dove è conservata nella stessa sala del Palazzo Nuovo che ospita il Galata morente (cfr. i nrr. 13-14).

 

Il calco in scala ridotta era stato danneggiato nel corpo da gravi lesioni, alle quali si è posto rimedio durante il recente intervento di restauro. Gli arti superiori sono però quasi interamente perduti, salvo il tratto iniziale del braccio destro. Il trattamento della capigliatura nel gesso rispetta i volumi originali delle ciocche; queste, però, appaiono più pastose e meno definite nella resa superficiale.

Inventario: non precisato.

Misure: cm 12 x 8,5 (testa).

Bibliografia: S. Rambaldi, La Gipsoteca del Dipartimento Culture e Società dell’Università degli Studi di Palermo. Storia e Catalogo, Palermo, Palermo University Press, 2017 (“Artes”, n.s. 2), pp. 88-89, nr. 28 (con bibliografia di riferimento sull’originale).