18. Afrodite accovacciata
La grande fortuna che aveva arriso all’Afrodite Cnidia di Prassitele, la prima statua raffigurante la dea dell’amore interamente nuda, ispirò un’ampia serie di riprese e rielaborazioni nel corso del periodo ellenistico. Queste o si mantenevano sostanzialmente vicine all’iconografia della scultura prassitelica, riproponendo la figura in piedi ma con una maggiore carica sensuale (come la Venere dei Medici: nr. 20), o se ne discostavano, determinando soluzioni nuove, che generalmente rimanevano incentrate sulla nudità del corpo femminile al bagno o sul punto di immergersi nell’acqua. Fra queste ultime, un posto speciale è occupato dall’Afrodite accovacciata, il cui tipo raggiunse un tale prestigio da dare origine a una tradizione a sé, attestata da un notevole numero di repliche e varianti d’età romana (e poi continuata massicciamente anche in età moderna). L’immagine della dea accosciata nell’atto di bagnarsi sotto una cascata, infatti, risultava particolarmente idonea per servire come ornamento di giardini, dove poteva anche essere collocata sotto getti d’acqua, al fine di ricreare la probabile ambientazione della composizione originale. La paternità di quest’ultima è per tradizione ricondotta, sulla base di un passo corrotto di Plinio (Storia naturale, XXXVI, 35), a uno scultore nativo della Bitinia di nome Doidalses o Doidalsas, il quale sarebbe stato attivo intorno alla metà del III secolo a.C., ma non si può essere del tutto sicuri che un artista con questo nome sia realmente esistito.
Il gesso riproduce una replica del tipo meno nota e di qualità non molto elevata, che è conservata in una collezione di Firenze e condivide diverse caratteristiche con l’esemplare della Galleria degli Uffizi nella stessa città. La dea reca armille su entrambe le braccia ed è seduta su una conchiglia, sopra una roccia (quest’ultima assente nella replica degli Uffizi). Dallo stesso originale deriva un altro calco, avente la medesima altezza complessiva di quello palermitano, appartenente al nucleo dresdense della grande raccolta di gessi di Anton Raphael Mengs.
Calco fedele, tranne che nella base rocciosa, di cui è riprodotta solamente la parte sommitale. Sono visibili i tasselli della lavorazione. Le dita di entrambe le mani sono spezzate.
Inventario: DCS 3563.
Misure: cm 52,5 (ha totale) x 20.
Bibliografia: S. Rambaldi, La Gipsoteca del Dipartimento Culture e Società dell’Università degli Studi di Palermo. Storia e Catalogo, Palermo, Palermo University Press, 2017 (“Artes”, n.s. 2), pp. 68-69, nr. 18 (con bibliografia di riferimento sull’originale).