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MARIA CRISTINA MAGGIO

Un caso di pericardite recidivante colchicina-resistente

  • Autori: Maggio, Maria Cristina; Alizzi, Clotilde; Di Leto, Elisabetta; Ippolito, Anna Maria; Sferlazza, Flavia; Corsello, Giovanni
  • Anno di pubblicazione: 2023
  • Tipologia: Articolo in rivista
  • OA Link: http://hdl.handle.net/10447/598673

Abstract

La pericardite è una patologia infiammatoria del pericardio che si manifesta con dolore toracico e che spesso, ma non sempre, si associa a versamento pericardico. Rappresenta circa il 5% degli accessi in Pronto Soccorso (PS) per dolore toracico (di cui è la principale causa in età pediatrica). Le pericarditi si classificano a seconda della durata della sintomatologia o in base all’agente eziologico. A seconda della durata della sintomatologia si distinguono: forme acute, forme ricorrenti, quando si assiste a una ricomparsa dei sintomi dopo un periodo libero di almeno 6 settimane, e forme persistenti, quando i sintomi perdurano oltre le 6 settimane o quando si verifica una ricaduta del quadro allo scalo della terapia farmacologica1-3. Circa 4 casi su 5 di pericardite si definiscono idiopatici, solitamente forme benigne che nella maggior parte dei casi si risolvono senza lasciare reliquati, ma allo stesso tempo hanno un elevato rischio di ricorrenza (dal 15 al 30% al primo episodio e fino al 50% dopo una prima recidiva)4. Molto più rare sono le forme secondarie, tipicamente post infettive. La diagnosi di pericardite acuta si può formulare se sono presenti almeno 2 dei 4 criteri seguenti: a) dolore toracico di tipo “pleuritico”, b) sfregamenti pericardici, c) alterazioni tipiche all’ECG e d) versamento pericardico all’ecocardiografia. Riconoscere in tempo una pericardite e prevenire una eventuale recidiva permette di evitare complicanze potenzialmente fatali, quali il tamponamento cardiaco e la pericardite costrittiva. La terapia deve essere effettuata in base alla forma: ad es. nei casi di pericardite secondaria va rimosso l’agente scatenante; per quanto riguarda le forme acute il trattamento di scelta è rappresentato dall’uso di FANS ad alta dose (ibuprofene alla dose di 30-50 mg/kg/die in 3 dosi per due settimane seguita da lento décalage alla remissione clinica). Il cortisone (prednisone alla dose di 0,2-0,5 mg/kg/die), nonostante abbia ancora un ruolo controverso, viene utilizzato nella pratica clinica nelle forme poco responsive ai FANS. Nonostante gli studi siano ancora limitati, alcuni Autori ritengono che l’impiego della colchicina (a 0,5 mg/die al di sotto dei 5 anni e 1-1,5 mg/die suddivisi in 2-3 dosi nei soggetti più grandi) in età pediatrica permetta di ridurre l’incidenza di recidive5. Purtroppo, esistono categorie di pazienti definibili colchicina e/o cortisone resistenti che non rispondono al trattamento e per i quali vi è necessità di intraprendere una terapia di terzo livello con farmaci come canekinumab e anakinra con risultati discretamente incoraggianti6.