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BEATRICE LA PORTA

Le cooperative di comunità quali potenziale strumento per ripensare e valorizzare gli usi civici nelle aree rurali. Uno spunto di riflessione

Abstract

Regolate da frammentate normative regionali, le cooperative di comunità si caratterizzano per inserirsi pienamente nel quadro delineato agli artt. 2511 c.c. ss. e per la tendenziale coincidenza tra i soci di queste ultime e la popolazione insistente in un’area geograficamente limitata. La presenza di gruppi organizzati di individui che svolgono attività di valorizzazione dei territori può rivelarsi potenzialmente capace di stimolare l’attività economica locale e perseguire lo sviluppo comunitario e il benessere collettivo, in un’ottica di relazione sinergica tra interessi pubblici e privati. L’importanza di una dimensione intergenerazionale, tipica dello sviluppo sostenibile e particolarmente legata al lavoro delle cooperative di comunità, si sposa anche con una visione di tutela degli interessi propria della proprietà collettiva e dei beni comuni. Nel caso degli assetti collettivi la predisposizione di misure conservative convive con la necessità di un continuo adattamento all’attività evolutiva di sistemi economia/ambiente in cui centrale è l’attività svolta dai soggetti che li rappresentano, in primis, i Comuni. Alla luce della riforma del 2017 e delle esperienze fallimentari che in passato hanno interessato numerose amministrazioni locali impegnate nell’attività di rappresentanza degli usi civici, la possibilità di individuare le cooperative di comunità quali gestori di assetti collettivi appare una scelta interessante anche in ragione della loro potenziale idoneità a rivalutare, sostenere e proteggere sia tali beni che, a livello più ampio, i beni comuni.