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BARBARA LINO

I luoghi periferici in cui si abilita intelligenza collettiva

Abstract

Nelle periferie urbane in cui coesistono ampi margini alla modificazione, un surplus di spazi interstiziali e marginali, negli ultimi anni si sta dispiegando la proliferazione di esperienze che aprono il campo a un diverso modo di trasformare le città, in una sorta di resilienza locale alla crisi e al conseguente vuoto di welfare sociale. Uno sguardo alle pratiche in corso sembra indicare una tendenza a spostare l'asset di sviluppo dalla patrimonializzazione immobiliare ad una economia della conoscenza, in cui i beni dismessi si offrano come piattaforme abilitanti dell'azione collettiva, dispositivi spaziali in cui incanalare l'innovazione attraverso il riciclo. Se il Piano Periferie promosso dal Governo Nazionale ha promosso un approccio basato sulla cantierabilità e sembra aver messo da parte la lezione dell'integrazione dei progetti place based della stagione degli anni '90, uno sguardo ad alcune esperienze in corso rivela forme di riappropriazione, di riscatto, di “risignificazione” degli spazi interstiziali e dismessi e nuova patrimonializzazione di beni pubblici inutilizzati. Di fronte alla diversità e ricchezza delle singole storie, un approccio per ricette pare quanto mai inopportuno e sembrerebbe, piuttosto, suggerire un percorso tentativo e sperimentale. È anche vero però che lo sgretolamento e la riarticolazione del welfare in nuove e polverizzate forme aperte alla sperimentazione, ci dovrebbe porre davanti al ripensamento delle modalità dell'azione pubblica, scongiurando il rischio di continuare a relegare il ruolo del progetto a mera applicazione di standard e indicatori.