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FABIO ALBA

Minori migranti e la "famiglia mancante". Riflessioni di educazione interculturale.

Abstract

Sotto il profilo pedagogico, di consistente interesse risulta il titolo v del Decreto legislativo 286/1998 (la cosiddetta legge Turco-Napolitano), il “Diritto all’unità familiare e tutela dei minori”, nonché all’assistenza sanitaria e sociale, all’educazione ed alla prima e seconda accoglienza dei minori. Se da una parte giova constatare il carattere innovativo e aperto di questa legge, nonostante le molteplici difficoltà sul piano applicativo, dall’altra parte notiamo come poca importanza viene attribuita alla sfera familiare e affettiva per quei minori stranieri che rientrano nella categoria dei cosiddetti “non accompagnati” e cioè quei «minori stranieri che giungono nel territorio degli Stati membri dell’UE non accompagnati da un adulto per essi responsabile in base alla legge e fino a quanto non ne assuma effettivamente la custodia di adulto per essi responsabile». Dal punto di vista educativo e pedagogico, la questione di fondo del presente contributo è a quali bisogni rispondere per venire incontro alle necessità di tanti ragazzi che non avendo genitori in Italia o figure parentali di riferimento vivono all’interno di strutture di accoglienza e di assistenza che garantiscono loro degli interventi educativi e sociali, pur non riuscendo a colmare, talvolta, il vuoto affettivo dovuto alla lontananza dalle proprie famiglie di origine. Va precisato che nel nostro panorama legislativo, a riguardo dei minori stranieri non accompagnati, viene sancito il diritto all’istruzione scolastica e il diritto ad una abitazione in cui poter vivere, ma poca attenzione è stata data nel corso degli ultimi anni alla sfera affettiva e familiare per questi ragazzi. La famiglia è implicata nei fenomeni migratori in molti modi e il suo ruolo si esercita in momenti diversi del percorso migratorio e con funzioni molteplici. Fin dall’inizio dell’avvio di un progetto migratorio la famiglia costituisce il punto di partenza. Spesso anche quando a partire è un singolo individuo, su di lui convergono le aspettative di una famiglia, impegnandosi economicamente in modo consistente. Il migrante diventa perciò il rappresentante di tutta una comunità familiare che spera attraverso di lui/lei una prospettiva di emancipazione collettiva.