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GASPARE VENTIMIGLIA

DIO SALVI IL RESTAURO. L’apporto inglese alla cultura della conservazione dei monumenti

Abstract

Sebbene già riuscissimo a percepire quanto rilevante fosse l’apporto inglese per aver contribuito alla definizione del restauro modernamente inteso, sino ad oggi mancavano ancora sia una chiara visione d’insieme delle articolate vicende connesse all'affermazione dei princìpi conservativi, sia una più approfondita conoscenza delle fonti documentarie, necessarie al fine di tracciare i profili culturali dei protagonisti e scandagliarne i contributi teorici. La ricostruzione delle vicende è sviluppata entro margini temporali estesi all'incirca per tre secoli, dalla fine del Seicento al principio del Nove-cento, e strutturata attraverso la traduzione e lo studio di testi perlopiù mai circolati in Italia. Anche il fondamentale documento dal titolo Papers on The Conservation of Ancient Monuments and Remains del 1865, ovvero la ‘Carta inglese della Conservazione’, è stata evidenziata e tradotta soltanto nel 2013, nel volume Restauro Anno Zero di Francesco Tomaselli. Il metodo adottato nell'organizzazione degli esiti della ricerca è segnato dalla volontà di addentrarsi nelle fonti e strutturare il testo attraverso di esse, ma senza perdere mai di vista il quadro d’insieme e con la volontà di definire un percorso lineare ed ordinato cronologicamente. La trattazione procede nel tentativo di dare forza alle relazioni che connettono le esperienze (e con una particolare attenzione alle traduzioni dall'inglese all'italiano). Nell'Inghilterra di fine Seicento si avvertono le prime tendenze conservazioniste, e gli atteggiamenti che progressivamente condurranno ad una più matura concezione del restauro iniziano ad essere evidenziati da Christopher Wren, Nicholas Hawksmoor e John Vanbrugh nel corso del XVIII secolo. Il concetto filosofico di ‘autenticità’ emerge sulla scena culturale britannica e l’interesse per la conoscenza e la conservazione del sito preistorico di Stonehenge si accende. John Ruskin è universalmente considerato il principale rappresentante della reazione contro il trattamento distruttivo delle architetture del passato, ma emerge anche la centralità degli apporti, finora meno scandagliati e rimasti in secondo piano, di Welby Pugin, Gilbert Scott, e John James Stevenson, sia nello sviluppo della teoresi disciplinare che nell'impegno (di Scott) al reindirizzamento conservativo della prassi nel cantiere di restauro. L’impegno di William Morris, che risente del positivo influsso del pensiero di Ruskin ma risulta marcato da istanze più chiaramente sociali e politiche, attraverso la S.P.A.B. contribuisce ad estendere il concetto di salvaguardia a tutto l’ambiente costruito e antropizzato. Sul finire del 1879 è avviata la campagna internazionale in difesa della basilica di San Marco a Venezia, e si afferma inequivocabilmente il principio del valore universale delle testimonianze storico-artistiche, intese come patrimonio culturale dell’umanità da trasmettere al futuro. Le proteste degli intellettuali inglesi spingono il giovane Stato unitario italiano ad innescare un processo autocritico in materia di restauro e, grazie all'impegno dell’ingegnere Francesco Bongioannini (braccio destro di Giuseppe Fiorelli a capo della Direzione Generale di Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione), con le prime iniziative legislative per la salvaguardia dei monumenti si tenta di correggere le gravi disfunzioni organizzative di cui, in seguito alle legittime critiche dei contestatori, il governo dello Stato italiano aveva preso coscienza. La stessa consapevolezza emerge anche nel Regno Unito e, tra la fine del XIX secolo e il principio del XX, sono emanati i primi provvedimenti governativi per la difesa del patrimonio architettonico ed ambientale della nazione. Alle numerose associazioni già operanti nel settore della tutela si aggiunge il National Trust, anch'esso nato da una visione di John Ruskin. La ricerca rimane aperta ad ulteriori acquisizioni, ma si riescono