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LUCA TUMMINELLO

L'indebito conguaglio da parte del datore di lavoro di prestazioni da anticipare al lavoratore per conto dell'INPS. Prospettive de iure condito e de iure condendo

Abstract

Il presente articolo si pone l’obiettivo di individuare la corretta qualificazione penalistica della condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente, nella denuncia previdenziale obbligatoria, di avere corrisposto al lavoratore somme a titolo di prestazioni anticipate per conto dell’INPS, come, ad esempio, le indennità di malattia e di maternità, gli assegni familiari, la cassa integrazione guadagni, effettui il conguaglio di tali importi, fittiziamente indicati, con quelli da lui dovuti a titolo di contributi previdenziali e assistenziali. Nella prima parte del lavoro, si illustrano criticamente i vari orientamenti espressi sul tema dalla Corte di Cassazione. Nessuna delle soluzioni prospettate dalla Suprema Corte appare condivisibile, neanche quella – consolidatasi negli ultimi anni – che riconduce il caso di specie alla previsione di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.). Essa, infatti, estende troppo l’ambito operativo del delitto di cui all’art. 316-ter c.p., fino a violare il divieto di analogia in malam partem. Alla luce del quadro normativo di riferimento, l’A. ritiene che l’unica opzione praticabile de iure condito sia ricorrere al delitto di cui all’art. 37 della l. n. 689/1981, ovvero all’omissione o falsità di registrazione o denuncia obbligatorie (c.d. frode previdenziale). La soluzione suggerita, seppur allo stato dell’arte appaia l’unica davvero persuasiva, tuttavia, non risulta del tutto soddisfacente sul piano politico-criminale, poiché la fattispecie menzionata non riesce a considerare per intero il disvalore della condotta che si annida nell’indebito conguaglio previdenziale di cui si tratta. Proprio per superare tale aspetto critico, nella parte finale di questo lavoro si prospettano alcune possibili soluzioni de iure condendo.