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MICHELE SBACCHI

Dire estetica, fare estetica con l'architettura

Abstract

Il saggio affronta il tema del'"estetica realizzata" focalizzandosi sulla maniera peculiare del "fare estetica" nel caso specifico dell'architettura. "Frammenti" della disciplina dell'estetica ricorrono randomicamente nel "discorso" sull'architettura: sia che si tratti di una organica trattazione teorica, sia che si tratti della didattica della progettazione architettonica sia che si tratti dell'interlocuzione tra architetto e cliente. Il progetto infatti si costruisce spesso attraverso un dialogo tra architetto "madre" e cliente "padre" (Filarete, Wright). A tal riguardo l'autore propone originalmente la definizione di progetto di architettura come "atto estetologico diffuso". Successivamente viene stigmatizzata la differenza tra arte e architettura, evidenziandone la rilevanza rispetto al tema dell'estetica realizzata. L'architettura è infatti legata indissolubilmente al "fare" essendo avverabile solo nella circostanzialità della realtà. La definizione di Loos di architetto come "muratore che sa il latino" è, nel saggio, riletta in questa ottica. Viene inoltre preso in considerazione il ruolo della funzione come elemento del fare estetico. A partire dalle critiche di Rossi e di Rykwert si propone la funzione come perscorso tortuoso verso l'essere dell'opera architettonica; in opposizione quindi al "form follows function". A questo proposito vengono citate le teorie dei protorazionalisti (Lodoli). A tal fine viene fatto riferimento a Gadamer. Infine il saggio delinea le attuali condizioni dello status dell'architettura alla luce della lettura di Husserl, che notoriamente ha delineato "la crisi delle scienze europee". A questo riguardo viene fatto riferimento alle elaborazioni di Dalibor Vesely che ha densamente descritto lo status estetico dell'architettura all'interno del passaggio da un universo metaforico a una condizione strumentale.