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CATERINA SCACCIANOCE

In tema di reciproco riconoscimento delle sentenze penali: ancora una pronuncia che invoca, forse inopportunamente, il primato del diritto dell’Unione sul diritto interno più favorevole

  • Autori: SCACCIANOCE, Caterina
  • Anno di pubblicazione: 2017
  • Tipologia: Nota a sentenza (Nota a sentenza)
  • Parole Chiave: Reciproco riconoscimento delle sentenze straniere - Cooperazione giudiziaria - Controlimiti - Primato del diritto dell'Unione - Diritti del detenuto - Reinserimento sociale - Finalità rieducative della pena
  • OA Link: http://hdl.handle.net/10447/224077

Abstract

Con la decisione dell’8 novembre 2016, la Corte di Giustizia (Grande Sezione), nel procedimento penale a carico di Ognyanov, ha ritenuto che l’art. 17, commi 1 e 2 della decisione quadro 2008/909 / GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, in tema di reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, come modificata dalla decisione quadro 2009/299 / GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, deve essere inteso nel senso di impedire l’applicazione di una norma nazionale che autorizzi lo Stato di esecuzione a concedere alla persona condannata una riduzione di pena a motivo del lavoro da essa svolto durante la sua detenzione nello Stato di emissione, quando le autorità competenti di quest’ultimo Stato, conformemente al diritto dello stesso, non hanno riconosciuto siffatto beneficio. Il diritto dell’Unione – ha affermato la Corte – deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale è tenuto a prendere in considerazione le norme del diritto interno nel loro complesso e a interpretarle, quanto più possibile, conformemente alla decisione quadro 2008/909, al fine di conseguire il risultato da essa perseguito, disapplicando, ove necessario, di propria iniziativa, l’interpretazione accolta dal giudice nazionale di ultima istanza, allorché la stessa non risulti compatibile con la legislazione europea. Secondo l’Autrice l’interpretazione adottata dalla Corte di Lussemburgo non è convincente. Non ravvisandosi un contrasto tra le normative, i giudici europei, nel caso di specie, avrebbero, infatti, inopportunamente, invocato il primato del diritto dell’Unione sul diritto interno più favorevole.