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ANNA SICA

Le funzioni dello spettacolo I

Abstract

Marco De Marinis distingue la nuova teatrologia degli studi teatrali contemporanei di matrice europea-continentale, e in particolare italiana, dai Performance Studies anglo-americani, pur riconoscendo la presenza di legami fra i due campi di ricerca, quasi inevitabile sia per motivazioni culturali sia per ragioni storiche. De Marinis sostiene, inoltre, che oggi l’interesse della teatrologia italiana è tutto rivolto al “fatto teatrale”, inteso come «il complesso dei processi produttivi e ricettivi»2. In Il corpo dello spettatore. Performance Studies e nuova teatrologia (2013)3, egli illustra come le applicazioni dei paradigmi classici e degli schemi nuovi della cultura teatrale contemporanea si siano radicati nel solco della interdisciplinarità, contestualizzando l’analisi teorica degli studi teatrali lungo la frontiera che separa il Novecento dal nuovo secolo. Se da un lato afferma che non si possono trascurare evidenti punti di contatto fra la nuova teatrologia e i Performance Studies, dall’altro evidenzia una oggettiva peculiarità degli studi teatrali continentali, e in particolare italiani, definendo il loro oggetto come «l’insieme dei processi e delle pratiche che fondano e circondano il fatto teatrale»4, e precisando che il centro di questo oggetto è «la relazione teatrale per eccellenza, quella che lega l’attore e il pubblico, e quindi, in definitiva, lo spettatore stesso con l’insieme dei processi e delle pratiche ricettive che lo riguardano»5. La peculiarità transculturale del teatro contemporaneo emerge ben chiara in De Marinis già dagli anni della pubblicazione di Semiotica del teatro (1982) e poi di Capire il teatro (1988)6, ma diventa un inequivocabile precetto teorico nelle sue ultime riflessioni che sono state il filo conduttore del convegno Thinking the Theatre - New Theatrology and Performance Studies. Peraltro, dall’ultimo ventennio del Novecento ad oggi la transculturalità dei generi letterari e artistici ha influenzato gli studi teatrali, fino a mutarne gradualmente gli obiettivi. Così le funzioni dello spettacolo, seppure ricercate negli elementi tradizionali dell’arte scenica, attore, danzatore, suono, spazio, spettatore, testo, vengono spesso ricavate da precetti filosofici, antropologici, psicoanalitici, sociali, gender e transgender, e sempre meno si tende ad esplorare il contesto politico in cui il teatro agisce, e le pratiche di cui il teatro si serve per interpretare o denunciare conflitti, soprusi, disagi culturali e sociali. Una progressiva diminuzione dell’uso del termine rappresentazione e un uso più frequente del termine performance ha generato anche sostanziali equivoci non solo di natura semantica ma anche di natura semiotica. Le forme e i modi del Nuovo Teatro – che De Marinis aveva individuato già a partire dal suo primissimo concepimento e che la nuova teatrologia è riuscita a contestualizzare in questo inizio secolo – vengono formulati dalla generazione che è cresciuta nutrendosi più di recezione di idee che di pratiche teatrali, più di processi e di sistemi astratti che degli sviluppi dei processi e dei sistemi di rappresentazione. Nella sessione da me presieduta si è potuto constatare come soprattutto le proposte degli artisti più giovani siano oramai distanti dal teatro storicamente inteso. La prassi teatrale è stata completamente smarrita nel lento smantellamento novecentesco, e la parte teatrale residuale di ogni nuovo “gruppo” ha bisogno del sostegno delle pratiche di altre forme d’arte: insomma, il Nuovo Teatro post-novecentesco è senza teatro.