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DARIO RUSSO

Vanità e socialità nel design : icone e paradossi

Abstract

Dov’è finito il good design del secolo scorso? Cosa ne è stato del Bauhaus, degli Eames, dei Saarinen, della Scuola di Ulm, del design italiano degli anni d’oro (Cinquanta-Settanta), quello dei maestri? Nel terzo millennio, il design – se non altro quel che furoreggia alle mostre o sulle pagine patinate delle riviste – non sembra dare un sostanziale contributo alla qualità della vita quotidiana, non punta sull’innovazione. Il design, oggi, ha perso vocazione sociale. Non affronta i problemi cruciali del nostro tempo, come la razionalizzazione delle risorse o lo smaltimento dei rifiuti. Non offre soluzioni né strategie. Incorpora “simboli immaginari”, linguaggi, che magnificano merci rendendole irresistibili. Ciò che conta, soprattutto, è far parlare di sé, nel bene o nel male, e vendere. Il prodotto è uno schermo su cui proiettare storie; anzi, è diventato ancor meno di quel che Andrea Branzi ha definito “design pulviscolare”: gadget, gingillo, obsolescenza programmata.