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DARIO RUSSO

Caruso Handmade. L'importanza di chiamarsi Ernesto

Abstract

Ne Lo Studio Basile. Un crocevia di arti e mestieri (2013), il Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Palermo Roberto Lagalla osservava: «Illustrare, commentare e divulgare l’attività di […] Basile non è solo esercizio di cultura e di sensibilità storiografica; è, soprattutto un’operazione civile che restituisce identità alla Città di Palermo e ne invera la dimensione internazionale, la sua ambientazione e i suoi sogni in un momento in cui essa è protesa verso la ricerca di un nuovo futuro»1. È anche – aggiungiamo noi – un’opportunità di sviluppo economico per il territorio. Dal nostro punto di vista, infatti, Ernesto Basile non è (soltanto) un architetto raffinato d’un passato glorioso ma un designer proteso nel futuro e dunque ancora oggi attuale. Infatti l’opera di Basile, per dirla con Maurizio Carta, «si offre ai nostri occhi come una straordinaria macchina del tempo. Ma essa non guarda il passato come sarebbe ovvio pensare […] ci invita a traguardare il futuro di una Palermo che avrebbe potuto essere e non è stata»2. Perché allora gli ottimi – e modernissimi – mobili di Basile, a differenza di altri capolavori del passato, non sono stati riediti dalle aziende del nostro tempo? Perché, tanto per fare un esempio, Charles Rennie Mackintosh, architetto scozzese contemporaneo di Ernesto Basile, diventa negli anni ottanta simbolo di Glasgow e un’azienda italiana, Cassina, punta su di lui con operazioni culturali che confluiscono nella prestigiosa Collezione “I Maestri”, mentre di Ernesto Basile si trovano tracce soltanto tra gli addetti ai lavori? Non è possibile allora ipotizzare una strategia imperniata sull’opera di Basile per diffondere nel territorio la cultura del progetto in direzione di uno sviluppo economico?