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SILVIA PENNISI

GLI SPAZI CARCERARI E LA FUNZIONE RIABILITATIVA DELLA DETENZIONE STORIA E ATTUALITÀ

Abstract

La progettazione dell’edilizia carceraria, nonostante le numerose implicazioni sociali, politiche ed economiche, risulta in Italia poco trattata oltre che sostenuta unicamente da modelli edilizi che poco risultano coerenti con alcuni aspetti della normativa. Secondo il dettato costituzionale «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato», e la Riforma dell’Ordinamento penitenziario (L. 354/1975) in vigore da più di quarant’anni definiva la nuova funzione del carcere che «da istituzione di mera custodia e di isolamento (…) diviene istituzione che deve favorire la risocializzazione del detenuto». Attualmente ben pochi edifici rispondono appieno alla loro reale dichiarata funzione riabilitativa, risulta infatti estremamente difficile conciliare le esigenze della detenzione con una organizzazione degli spazi che rispetti caratteristiche legate alla qualità necessaria a svolgere appieno tale funzione. Gli interventi più recenti di ristrutturazione degli edifici esistenti hanno ottemperato alle prescrizioni minime normative ma non hanno prestato sempre attenzione al miglioramento degli aspetti psico-fisici dei detenuti, dei sorveglianti e dei familiari. Il risultato è una cultura della progettazione istrutturazione dell’edificio carcere lontana dalla ricerca di valori architettonici come avviene per qualunque edificio pubblico. Sono ben noti e in parte risolti gli aspetti legati al sovraffollamento e alle condizioni di vita all’interno delle carceri grazie a una campagna di diffusione di tali informazioni e conseguente aumento della sensibilizzazione su tali argomenti, ma rimangono ancora poco esplorati tutti gli aspetti legati alla spazialità, aerosità degli ambienti, luminosità, acustica e comfort in generale che potrebbero favorire il fine stesso della detenzione: la riabilitazione. Al contrario, si parla spesso di ambiente che porta a una “regressione”, un non-luogo in cui alla pena della privazione della libertà se ne aggiungono altre legate alla sfera fisica, psicologica e affettiva.