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ANTONIO PERRONE

Fatto fiscale e fatto penale: parallelismi e convergenze

Abstract

L’esigenza di fondo che ha ispirato la scrittura del libro è quella di rispondere alla domanda se vi sia un effettivo parallelismo fra i criteri di accertamento del fatto fiscale e del medesimo fatto in ambito penale. E’ noto infatti che l’odierno quadro normativo, risultante dalla riforma del 2000, pone in parallelo i processi penali e tributari attraverso l’istituto del cd. “doppio binario”, per cui – teoricamente – il giudice tributario e quello penale, sebbene siano chiamati a pronunciarsi sulla medesima violazione “fiscale”, possono seguire autonomamente la propria strada e, dunque, anche giungere a conclusioni diametralmente opposte. Il problema che ci si è posti, però, è se il “parallelismo”, individuato a livello normativo, sia poi effettivamente realizzabile e cioè se il giudice penale e quello tributario utilizzino effettivamente diversi criteri di accertamento per verificare l’esistenza e per qualificare giuridicamente il medesimo fatto. Sebbene, infatti, il parallelismo possa apparire “pieno” [in quanto il processo penale ha strumenti di prova (per esempio la testimonianza) che non sono consentiti nel rito fiscale ed inoltre il primo è fondato sull’oralità, laddove, invece, il rito tributario è tendenzialmente documentale], in realtà la comune matrice del fatto (che è fiscale)comporta inevitabilmente delle contaminazioni, e dunque, delle “convergenze” nei criteri di accertamento; per cui anche il giudice penale, quando accerta il fatto fiscale (costituente reato), deve tener conto della “natura” del fatto fiscale, che è un fatto intriso di diritto, è – cioè – un fatto che nasce già qualificato dalla legge, che non si limita ad attribuire effetti giuridici ad un evento naturalistico, ma crea la fattispecie. Inoltre, atteso che il fatto fiscale assai raramente assume rilievo nella sua dimensione “isolata”, ma è – in genere – un fatto “cumulativo” (e, cioè, qualificato dal succedersi di una serie di eventi), esso pone il problema della “quantificazione”. Chi accerta il fatto fiscale, quindi, è normalmente chiamato ad operare una “quantificazione”. Ecco allora che diviene inevitabile stabilire se la “quantificazione” adottata con i metri della prova fiscale possa altresì appagare la prova penale. Muovendo da questi presupposti si è sviluppata l’indagine che ha seguito il seguente percorso: in primo luogo si sono individuati i diversi livelli di contaminazione fra i criteri di accertamento del fatto fiscale e (del medesimo fatto) in ambito penale e tale indagine è stata compiuta in una prospettiva sia storica che attuale (capitolo I); si è poi affrontato il problema dell’effettività dell’accertamento e cioè il rapporto fra “verità” e “processo” (civile, penale, tributario) allo scopo di individuare un “ideal tipo” di processo orientato all’accertamento “veritiero” dei fatti (precisando che comunque la “verità” perseguibile nel processo è sempre “relativa” ed “oggettiva”) e la sua compatibilità con l’attuale sistema tributario di accertamento del fatto (sia nel procedimento che nel processo), giungendo alla conclusione che il “diritto tributario” (inteso nel senso di procedimento e processo tributario) presenta oggi una “propensione controepistemica”, non ravvisabile nel processo penale (capitolo II); si sono quindi messe a confronto le diverse teorie relative ai criteri di accertamento del fatto in ambito fiscale ed in ambito penale e si è visto come lo strumento della “probabilità” (nelle due accezioni della probabilità “oggettiva” e “soggettiva”) rappresenta, al contempo, un momento di “parallelismo” e di “convergenza” fra i due criteri di accertamento del fatto (capitolo III). Infine nel capitolo IV si è ripresa un’altra tematica, che era già stata affrontata nel capitolo I e che è strettamente collegata allo s