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FERDINANDO MAZZARELLA

Un diritto «allo stato fluido». Note storico-giuridiche su aequitas e ragionevolezza.

Abstract

La «ragionevolezza», mediante la quale la Corte costituzionale, gli altri giudici e ogni altro interprete introducono nell’ordinamento elementi di valutazione provenienti dall’esperienza, dal senso comune, da combinazioni di princìpi e valori costituzionali che possono cambiare nel tempo, è figura tipicamente contemporanea, ma rappresenta in primo luogo lo strumento attraverso il quale, come in passato, mediare fra lex e factum, fra testo e contesto, fra la legge, da una parte, per sua natura astratta, immobile e anelastica, per definizione insensibile ai mutamenti della quotidianità, e la realtà della vita, dall’altra parte, pulsante, terrestre, multiforme. La ragionevolezza si è presentata come il mezzo mediante il quale il giurista contemporaneo ha cercato di ridare dignità, linfa e respiro ad un’interpretazione, dottrinale e giurisprudenziale, che l’«assolutismo giuridico» delle Codificazioni dell’800 aveva cercato di soffocare, il canale attraverso il quale rendere e mantenere il diritto ad uno «stato fluido», cioè aderente alle cose, alla vita, al sentimento comune, ai fatti economici e sociali. Come nel passato medievale e moderno, quando le categorie dell’aequitas, della ratio e della interpretatio rendevano il giurista vicino alla realtà storica e alle mutevoli esigenze economico-sociali, anche nell’età contemporanea la civiltà giuridica ha avvertito, pur a fronte di un percorso di progressiva statualizzazione, l’esigenza di mantenere il diritto ad uno «stato fluido», secondo l’uso fatto da Santi Romano nel 1906 e da Cesarini Sforza nel 1929. Nell’aequitas della dottrina giuridica medievale, nella ratio naturalis dei giusnaturalisti moderni, nella ragione artificiale di Coke, nello spirito popolare di Savigny, nel solidarismo di Cimbali, Gianturco e Simoncelli, nel concretismo di Saleilles, Gény e Planiol, si nasconde l’esigenza di un diritto ragionevole, tale perché conforme alle consuetudini, ai sentimenti e alle istanze di una società in divenire: un diritto «allo stato fluido», che assorba plasticamente i molti diritti di una società complessa e le pulsioni di un mondo rapido e vitale. La ragionevolezza del diritto, in questo senso, non è altro che l’esito di un processo interpretativo che in una realtà storica può essere valorizzato o mortificato ma che è comunque presente in quanto ontologicamente connaturato all’idea stessa di diritto: l’interpretazione come lettura ragionevole di un testo, cioè come mediazione fra il testo ed una realtà che è in continuo divenire, intrisa di storicità, di fatti economici e sociali, di valori (da ponderare) e senso di giustizia (princìpi da bilanciare). Fra Otto e Novecento, molto prima dunque della «crisi del diritto» conseguente alle tragedie del secondo conflitto mondiale, questa dimensione interpretativa riaffiora dall’oblio cui l’aveva costretta il legalismo statualistico, fino a ritrovare cittadinanza, sotto molteplici forme e intessuta di diverse ideologie, fra le voci di costituzionalisti come Romano e Mortati, di filosofi come Capograssi, di penalisti come Maggiore, di civilisti come Cesarini Sforza e Vassalli, di commercialisti come Mossa e Ascarelli.