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IGNAZIA MARIA BARTHOLINI

Età e classi di età: rappresentazioni, ibridazioni e conflitti

Abstract

Questo numero di Welfare ed Ergonomia ha inteso proporre una riflessione sul peso che l’età ha nella società attuale, evidenziando la distanza tra l’età anagrafica, quella valutata collettivamente, in base a parametri sanitari e complessi calcoli economici, e quella individualmente percepita, nel gap fra l’ordine prescrittivo dei ruoli prestabiliti e le performance che giovani, adulti e anziani ritengono di interpretare nelle diverse “province di significato” (Schutz 1979). Attraversare un’età, intesa come una sezione cronologica dell’intero corso della vita e, al contempo, come transizione ed intermezzo fra una fase temporale ed un’altra, assume oggi connotazioni più complesse. Quando tali sezioni cronologiche o transizioni vengono analizzate attraverso il loro dipanarsi nella sfera economico-lavorativa, i cambiamenti che si registrano, e che rimandano alle biografie personali di ciascuno attore sociale, sono sempre più spesso il prodotto di fattori esogeni e causali sistemiche che di scelte individuali. Si è giovani o anziani in relazione a quanto si è integrati nel sistema produttivo. Quando queste stesse sezioni/transizioni cronologiche vengono osservate all’interno dei micro-ambiti delle relazioni interpersonali o familiari, o ancora negli ambiti plurimi della socializzazione secondaria (scuola, gruppi di interesse, club etc.), le classi di età e l’età come attributo personale assumono valori cangianti. Assistiamo alla trasformazione dell’età anagrafica a mera congettura, che l’esperienza personale confuta sempre più frequentemente. La dimensione anagrafica percepita individualmente spesso non combacia con quella sociale, e il tentativo di un sistema globale di rendere inservibile la giovinezza, al pari della terza età, confligge con le rivendicazioni autarchiche di giovani e anziani al diritto delimitare specifici campi delle scelta di vita (procreative, sentimentali, abitative e, più in generale, spazio-temporali), oltre che i tentativi di rappresentazione di sé che coinvolgono, anche e sempre più massicciamente, le manipolazioni corporee ed estetiche. Con sempre maggiore evidenza si delinea un conflitto permanente fra due età temporali poste agli estremi (giovinezza ed anzianità) “contro” l’età di mezzo (quella degli adulti). Come è possibile, quindi, definire la distanza, più o meno rilevante, tra l’età anagrafica e quella sociale o individualmente percepita? Chi è dunque giovane e chi è anziano? Qual è il ruolo del giovane qual è il ruolo dell’anziano, e quali indicatori segnano il gap fra l’ordine prescrittivo di habitus e ruoli e quello più appariscente delle drammaturgie che giovani, adulti e anziani ritengono di interpretare nelle diverse “province di significato”? Inoltre, cosa accade nelle famiglie in cui convivono anche tre generazioni contemporaneamente? Quali possibili equilibri, ascrivibili non solo a necessità di ordine pratico, ridefiniscono le relazioni endogene? A queste domande gli autori intendono fornire alcune possibili risposte, nella consapevolezza che i passaggi da un’età all’altra sono diventati sempre più ibridi e sfumati e, quindi, di difficile interpretazione.