Salta al contenuto principale
Passa alla visualizzazione normale.

FRANCESCO BIONDO

Legislazione a “rima obbligata”? Riflessioni a margine della recente introduzione del reato di tortura nell’ordinamento italiano

Abstract

Come è noto, la recente introduzione del reato di tortura con la L. 110 del 2017 si deve all’esigenza di rispondere alle condanne nel caso Cestaro (7/4/2015) e poi Bartesaghi Gallo et alii (22/6/2017) da parte della Corte di Strasburgo nei confronti dello Stato italiano per violazione dell’art. 3 della CEDU, che sancisce il divieto di trattamenti inumani e degradanti. In virtù della urgenza di porre rimedio, come richiesto dalla Corte di Strasburgo, alla mancanza di strumenti adeguati di prevenzione e sanzione di fatti configurabili come tortura, il legislatore italiano ha legiferato in materia, ponendo fine ad una lunga inerzia rispetto a quanto richiesto dalla Convenzione Onu del 1984 sulla tortura ratificata con la L. 489 del 1988. Nello spazio ristretto del nostro intervento, cercheremo di argomentare come dietro le accuse al testo di legge- per esempio da parte di chi come Magistratura democratica (e tale è anche l’opinione di Pugiotto, 2018, o Padovani, 2017) considera la legge “passo falso” e pertanto non considera opportuna o positiva la sua approvazione- si nasconde una visione semplificata del rapporto tra fonti sovranazionali che tutelano i diritti umani e le fonti nazionali. Una visione secondo la quale al legislatore è dato solo il compito di “trascrivere” quanto è affermato dai giudici sovranazionali che applicano Convenzioni Internazionali, quali la Convenzione Onu o la applicano Convenzioni Internazionali, quali la Convenzione Onu o la