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EMANUELE ANGELICO

Contenitori_Contenuti

Abstract

Scriveva Camilleri in “La forma dell’acqua”: «[…] L’acqua non ha una forma propria, ed è come tutti gli altri liquidi, che assumono questa in ragione del contenitore che li circonda, che li contiene […]». Nel suo romanzo del 1994, infatti, l’allusione è alla ‘verità’ e questa può assumere qualsiasi forma. Ma sarà proprio il contesto in cui viene cercata a definirne la sua forma, la sua dimensione. Quindi l’ambiente, le circostanze, le condizioni di un evento, possono aiutare a trovare la pura verità e questa sarà sempre più vicina alla realtà quanto più ne sono definite le circostanze, l’ambiente e lo spazio. Ma l’Architettura non dovrebbe seguire gli stessi principi? L’Architettura non dovrebbe, similmente all’acqua di Camilleri, seguire la forma del suo contesto? L’Architettura non dovrebbe sapersi ad-domesticare di volta in volta secondo le forme dello spazio contenitore? Per anni ci hanno insegnato che “è il luogo” a fare l’Architettura, con il proverbiale genius loci, cosa complicatissima da comprendere e capire oltreché da rintracciare poi nel costruito. Tuttavia in questo ultimi anni faremmo quasi meglio a parlare di genius coci, come neologismo coniato dalla nostra società, dove ogni cosa sembra determinata da format televisivi che impongono diverse letture delle probabili dinamiche intorno al focolare domestico, divenuto linguaggio di “una parte del tutto”; dunque la cucina come rappresentazione dell’essere sia casa, sia luogo di socializzazione, sia rappresentazione di se stessa: tutto in uno. Per Frank Lloyd Wright, il cuore della casa era costituito dal focolare attorno a cui ruotavano tutti gli ambienti. Credo oggi che non si possa ritenere più così. Ora la cucina è divenuta uno spazio sociale, di incontro-scontro dalle dinamiche personali e familiari alle relazionali aperte; è il luogo dove tutto accade, tutto si compie, tutto prende forma; la cucina nel tempo è stata sdoganata passando dai bassi fondi (spesso esterni all’abitazione) sino a diventare il cuore centrale dell’habitat stesso, ovvero prenderne parte in modo talmente attivo sino a diventare la “casa stessa”, sempre più spesso rappresentata da sedicenti chef che ne dettano umori e tenori fra neo-linguaggi, costumi e sapori. Cucinare è certo un progetto, ma prima di questo la cucina (il luogo) deve essere la rappresentazione progettuale dell’io, prima individuale poi collettivo, incrocio di tendenza e di stile, crocevia di comunicazione interna ed esterna – quasi come il salotto buono della nonna. L’ambiente cucina diviene così a buon merito la vera rappresentazione del luogo a cavallo fra la casa privata e la casa pubblica, quale finestra di dialogo con l’esterno. Il vero luogo dove insiste quel genius prima tratteggiato.