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ALDO RENATO DANIELE ACCARDI

La conservazione "open-air" delle rovine ed il principio della “non-dislocazione"

Abstract

Gran parte del dibattito contemporaneo verte sul “come” tutelare i resti dell’archeologia, consentendone nel contempo il pubblico godimento. Oggi si comprende quanto sia necessario, fin dalla pianificazione di una campagna di scavo, interagire con i professionisti di altre discipline, i quali si occupano delle loro scoperte per consegnarle al godimento della collettività. Su di una rovina architettonica non si può fare quello che si può fare in un museo indoor, sia per presentare degli oggetti con certi apparati esplicativi che ne determinano il senso, sia per esporli diversamente quando cambiano le interpretazioni o si impongono nuove ideologie. Conservare uno scavo, innanzitutto, non è la stessa cosa che conservare un oggetto trasportabile. In passato, molte nazioni del resto d’Europa hanno preferito “presentare” le vestigia romane semplicemente come “giardini di rovine”, spesso preoccupandosi di metterle in netto contrasto con una più ricorrente rievocazione degli originali contesti di vita locale. Un’inversione di tendenza si è fatta spazio di recente negli interventi di musealizzazione della “romanità”, secondo i quali la mera “contemplazione delle rovine” viene sostituita dal contatto emozionale con la storia. La principale conseguenza di questi nuovi indirizzi consiste nel superamento del carattere informativo e didascalico della musealizzazione in favore di un approccio più autenticamente interpretativo. Diviene indispensabile, nella realizzazione di queste nuove strategie di musealizzazione dell’archeologia, il supporto proveniente dalla sperimentazione in ambito del restauro e della conservazione. La ricerca continua e il progressivo avanzamento delle tecniche conservative hanno fatto sì che si potesse garantire una migliore “presentazione” in situ dei resti sia mobili, sia immobili, evitando in tal modo la loro dislocazione.