Salta al contenuto principale
Passa alla visualizzazione normale.

Team UniPa indaga gli effetti dell’influenza spagnola (virus H1N1) sulla mortalità da COVID-19

Ascolta

Un team del Dipartimento BIND-Biomedicina, Neuroscienze e Diagnostica avanzata dell’Università degli Studi di Palermo impegnato nello studio dei centenari siciliani, composto dal prof. Calogero Caruso, dalla prof.ssa Giuseppina Candore e dalle dott.sse Giulia Accardi, Anna Aiello e Mattia Emanuela Ligotti, ha condotto uno studio sugli effetti del virus dell’influenza spagnola (virus H1N1) sulla mortalità da Covid-19.
La ricerca, dal titolo “Centenarians born before 1919 are resistant to COVID-19”, è stata presentata in occasione del meeting di Shanghai della International Society on Aging and Disease.

«Lo studio - spiegano dal gruppo di lavoro - prende il via da tre quesiti riguardanti la mortalità da COVID-19: 1) gli uomini ultranovantenni sono stati più resilienti delle donne di pari età? 2) i centenari sono stati più resilienti della popolazione generale? 3) i centenari nati prima del 1919, possibilmente esposti al virus H1N1, hanno presentato tassi di mortalità diversi dai centenari più giovani?

Se si prende in esame la mortalità di una popolazione generale, il calcolo della mortalità da COVID-19 viene fatto come eccesso di mortalità rispetto alla mortalità dei periodi precedenti. Sono stati quindi ottenuti, in forma anonima dal Servizio 9 del DASOE della Regione Sicilia, i dati della mortalità degli ultranovantenni nel periodo compreso tra il 10 marzo 2020, data ufficiale d’inizio della pandemia in Italia, al 31 dicembre 2020 (dopo questa data, infatti, i vaccini hanno cambiato l’epidemiologia della malattia e reso più ardua l’interpretazione dei dati) e come controllo la mortalità dello stesso periodo del 2019.
Nel 2020 l’eccesso di mortalità della popolazione siciliana in toto, non così eclatante come nel Nord Italia verosimilmente per il precoce lockdown che ha limitato la circolazione del virus, è stato del 6% (55583 decessi verso 52405). Se si esaminano gli ultranovantenni, l’eccesso di mortalità è stato dell’11% (8140 verso 7352) e, in particolare, è risultato più alto negli uomini che nelle donne (13% verso 10%). Quest’ultimo risultato è confermato esaminando separatamente i centenari, dove l’eccesso di mortalità sale al 28% ed è maggiore, anche in questo caso, negli uomini (33% verso 17%).
Questi dati - proseguono i ricercatori - ci permettono di rispondere negativamente alle due prime domande, evidenziando che i dati siciliani sulla maggiore resilienza delle donne sono in linea con quanto si conosce sulla differente risposta alle infezioni tra i due sessi: in quasi tutte le infezioni, la mortalità è maggiore per gli uomini che per le donne.

Abbiamo successivamente analizzato separatamente la mortalità dei centenari di 100 e 101 anni e di quelli di età superiore ai 102 anni (1018 in toto come anno dirimente).
Nel 2020 sono deceduti 313 soggetti di 100 e 101 anni, mentre nel 2019 ne sono morti 194, con un incremento del 61%, senza differenza di incremento tra i due sessi.
I soggetti con più di 102 anni deceduti nel 2020 anni sono stati 163, 14 in meno rispetto al 2019. I centenari di entrambi i sessi con una età di 102 o più anni, non hanno quindi mostrato un incremento di mortalità legato alla pandemia.
I numeri sono piccoli, ma sono in linea con quelli osservati in uno studio effettuato in Belgio, nel cui caso, tuttavia, i dati non sono stati analizzati in base al sesso. Secondo gli studiosi belgi ci sarebbe un legame tra l'esposizione all'influenza pandemica H1N1 del 1918 e la resistenza verso SARS-Cov-2 del 2020. Essi ipotizzano che meccanismi immunitari cross-reattivi abbiano consentito ai centenari esposti all'influenza spagnola di superare la minaccia del COVID-19 un secolo dopo.
In realtà non è stata mai dimostrata l’esistenza di questa cross/reazione tra i myxovirus influenzali e i coronavirus, quale il SARS-Cov-2. La nostra ipotesi, suffragata dagli studi in corso sull’immunologia della longevità, è che la Spagnola abbia agito come elemento selettivo per una più efficiente risposta immune - spiegano gli autori.
Questi possibili effetti, ad un secolo di distanza, non devono stupire. Negli Stati Uniti è stato dimostrato che l'esposizione prenatale alla pandemia di Spagnola dei nati tra il 1918 e il 1919 è associata a un incremento ≥ 20% di malattie cardiovascolari nei soggetti con una età compresa tra 60 e 82 anni, rispetto a coloro che non sono stati esposti all'epidemia. Gli effetti dell’esposizione sono stati riscontrati anche nel rendimento scolastico e nell’altezza degli adulti, registrata al momento dell’arruolamento per la II guerra mondiale, inferiore a quella dei soggetti nati negli anni adiacenti.
In conclusione, è possibile affermare che le infezioni virali di un certo impegno per l’organismo lasciano reliquati - negativi, come dimostrato dagli studi americani, o positivi, come nel caso degli studi belga e siciliano - a distanza di decenni».