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GIUSEPPE ROCCARO

Sulle tracce di una filosofia “dell’islam”: per una lettura contemporanea

Abstract

La distanza originaria tra falsafa e islam e la difficoltà del loro rapporto pongono in questione la filosofia, significata mediante il calco arabo di un nome greco per prestito lessicale assimilato, nell'atto stesso della sua congiunzione per differenza con l’islam, che in lingua araba è un nomen actionis. Tradurre, custodendo le consonanti della lingua originaria come mezzo per trasmettere un’idea, manifesta l’intento di provare quasi a custodirne il significato nel modo più innocente possibile nell’ambizione di essere fedeli e contemporaneamente innovando, poiché fedeltà e innovazione sono concetti correlativi per contemporaneità storica e concettuale. In questa occorrenza il pensare compie e attualizza l’originaria capacità del logos di raccogliere il già pensato, ma per dirlo di nuovo, ordinatamente, secondo un ordine dettato dal propositum di “filosofare per le religioni”, comune a noi contemporanei secondo un tempo, difficile per ogni commisurazione, che è l’oggi interculturale e interreligioso secondo un’accentuazione sempre più intensa, ma non per questo più profonda, e talvolta drammaticamente confusa fino ad essere disperante e tragica. Adeguare la ricerca alla responsabilità del limite, indicato originariamente dalla congiunzione della filosofia all'islam, la libera forse dalla tentazione di eccedere l'orizzonte in qualsiasi altra direzione, ma non dall'aporia perché a mancare necessariamente è un qualsiasi solco che la guidi mediante la determinazione del suo oggetto come questione, obiettivo e compimento: forse incombe il pericolo di essere risucchiati nei solchi e nei gorghi del nostro magnifico oggi. Il nome 'falsafa' è una doppia traccia: traccia di ellenicità nel grecismo delle sue radicali e traccia di islamicità nell’arabismo che detta la sua formazione sulle radicali date. Così sono assunte in congiunzione ideologica l’ellenicità nel e mediante il grecismo e l’islamicità nel e mediante l’arabismo. Tesa alla libertà di espressione per il pensare, un'iniziale e aperta professione dell'aporia come il luogo proprio del filosofare, manifesta la necessità, implicita nelle tracce, di assumere un atteggiamento di rispetto ‒per distanza e per relazione‒ verso e per una filosofia qual è quella che in questa occorrenza è detta ‒per indecisione o forse per indecidibiltà‒ araba o islamica. Ma tale filosofia araba o islamica appare data se non talvolta svanita allo sguardo di chi l’insegue o di chi ne ricerca, forse tragicamente, le ragioni dell’essere svanita, nella nostra contemporaneità. Nel nostro oggi, infatti, la filosofia in assoluto secondo le sue molteplici determinazioni storiche appare evanescente, svanita o latitante o quanto meno in crisi nel suo statuto e nel suo soggetto stessi. Sospeso tra svanire e dileguarsi, il luogo appare impervio e reso intricato da una spola inarrestabile e quasi impazzita, cioè senza ragioni, nello scorrere del tempo che intesse indifferentemente l’ordito secondo la trama, conforme all’identità storicamente data, in una contemporaneità che ha figura ‒ anche in senso minore‒ nell’esercizio di un principio occulto e occultato nella sua stessa origine: qual è l’ordito della tela, quale la sua trama, quale il suo tempo? Oggetto ricercato ovvero soggetto determinante è posto l’islam, secondo la sua occorrenza nel complemento di specificazione quale differenza specifica aggiunta alla filosofia (una filosofia dell’islam). Ma l'islam al modo di ogni altra religione trascende i limiti della religiosità, intesa come atteggiamento, sentimento religioso, devozione e scrupolosa cura, e pretende, per pretesa di assolutezza e unicità, alla propria immanenza in ogni filosofia possibile che tuttavia, e indifferentemente al modo, la riguarda e le compete.