Cosa fa la differenza? Uno sguardo sul "nostro" sacro
- Autori: Buttitta, I
- Anno di pubblicazione: 2018
- Tipologia: Capitolo o Saggio (Capitolo o saggio)
- Parole Chiave: Riti festivi, simboli, religiosità, alterità
- OA Link: http://hdl.handle.net/10447/292260
Abstract
Chi da profano si accosti alle culture dell’estremo Oriente, offuscato dal pregiudizio, si attende di trovarsi innanzi all’assoluta alterità e, questa cercando, finisce sempre con il ritrovarla Gli “altri” mangiano cibi esotici, vestono in guise bizzarre, vivono e si relazionano tra loro secondo modi inconsueti. Soprattutto celebrano riti assurdi, se non sconvenienti, adorando divinità strane e mostruose e, di fatto, non umanamente accettabili. È particolarmente nel campo religioso, infatti, che uno sguardo superficiale può generare parzialissime e abnormi rappresentazioni. Le espressioni del sacro degli altri, i miti, i riti, i simboli religiosi che le sostanziano, ci pongono innanzi ai rapporti tra immanenza e trascendenza così come sono stati variamente articolati entro sistemi di pensiero complessivamente distanti, almeno in apparenza, da quel procedere logico-razionale da cui si ritiene essere sostenuta la cultura egemone dell’Occidente. Tuttavia accostandosi a tali espressioni non si può essere dimentichi che sono proprio le categorie di questo nostro “naturalizzato” pensiero occidentale a impedirci di interpretare e classificare dati e fenomeni appartenenti ad altri orizzonti culturali. Ma è davvero così grande e irriducibile questa distanza tra visioni e esperienze del mondo? Non vi sono luoghi, momenti, situazioni in cui questa può ridursi addirittura facendoci apparire familiari i gesti, le forme, i suoni, le parole degli altri? Nonostante il loro “singolare” apparire, le divinità induiste, almeno nel sentire comune dei credenti, non sono estranee all’immanenza, sono “umanamente” vicine ai loro devoti. Al di là di ogni speculazione e rappresentazione filosofica, esse infatti agiscono e sentono tra gli uomini e come gli uomini. Intervengono cioè nelle loro vite e ne condizionano gli eventi, non diversamente dai santi del “pantheon” del cristianesimo popolare.