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ROSARIO SCADUTO

Sicilia e Grecia La conservazione dei monumenti alla fine del Settecento

Abstract

Fin dalla seconda metà del Settecento in Sicilia si inizia a tutelare, e dunque conservare, i monumenti dell’epoca classica della città di Taormina e perfino un gruppo di alberi secolari, chiamati il “castagno dei cento cavalli”. Inoltre, nel 1778, il governo borbonico istituì, per tutti i monumenti antichi della Sicilia, una commissione formata dai “Regi custodi” – sopraintendenti delle antichità, da un architetto esperto di monumenti antichi, da un pittore di vedute e da un capo mastro, per studiare e rilevare lo stato di conservazione dei monumenti stessi. A seguito di queste indagini, nel 1780, furono approntati i primi interventi di restauro nel tempio di Segesta e in alcuni templi di Agrigento. Invece ad Atene, lord Elgin prelevava dal Partenone e da altri monumenti molte sculture, e spedirle in Inghilterra, dove riusciva a venderli al governo inglese, per esporli nel British Museum di Londra. Nel 1823 gli architetti e archeologi Harris e Angell, dopo avere ritrovato tre metope fra le rovine del tempio “C” di Selinunte, volevano trasportarle in Inghilterra, per essere esposte assieme alla collezione di Elgin al British. Ma questa esportazione di sculture fu impedita, perché in Sicilia già erano attive leggi che vietavano il trasferimento all'estero dei reperti antichi. Agli scopritori fu autorizzata la realizzazione delle copie in gesso, mentre al museo di Palermo furono esposti gli originali delle sculture. La Sicilia, già nel XVIII e XIX secolo, aveva compreso il valore delle testimonianze del passato e le proteggeva e le conservava per le contemporanee generazioni e per quelle future, alle quali effettivamente appartengono.