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ANDREA SCIASCIA

Transdisciplinarità: alcune risposte

Abstract

Se oggi si immagina una ricerca transdisciplinare, una tensione transdisciplinare, è forse un modo per rispondere ad una introversione disciplinare che è avvenuta qualche tempo addietro? Da quando l’architettura si rivolge sostanzialmente ed esclusivamente verso sé stessa? Individuo come primo atto di questa introversione l’Ordonnance des Cinq Especés de Colonnes selon la Méthode des Anciens di Claude Perrault. Qualsiasi proiezione metafisica dell’architettura è cancellata da una serie di argomentazioni sempre più stringenti del medico–architetto che, a partire dalla totale scissione tra architettura e natura e, in maniera conseguente, tra architettura e musica, contraddice i cosiddetti principi architettonici dell’età dell’umanesimo. «Il che comporta però delle notevoli conseguenze. Se non è più la Natura che fonda l’attività artistica, crolla l’intera speculazione che aveva identificato nell’atto costruttivo il riflesso dell’Atto divino: crolla, in altre parole, l’ideologia della sacralità dell’arte». (Tafuri, 1969). Si può sostenere che il ragionamento di Perrault sull’architettura degli umanisti sia simile a quello svolto dai Five Architects sul linguaggio di Corbu? Mi sembra un tema da esplorare ma che lascio ai margini di questa riflessione. Andando oltre, si può ricordare, richiamando dialettiche geograficamente più prossime, l’articolo di Ezio Bonfanti, Autonomia dell’Architettura («Controspazio», giugno 1969), e la posizione diametralmente opposta più volte espressa da Giancarlo De Carlo. Ma al di là delle notazioni precedenti, su cui si potrà tornare a riflettere, desidero avvicinarmi alla risposta, cambiando ancora angolazione critica. Cosa intendo per ricerca transdisciplinare? Ritengo che sia un modo di procedere, quasi una tensione utopica, fortemente determinata dalle peculiarità del soggetto che compie l’azione di ricerca.