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ROBERTA COGLITORE

Sopravvivenze del mimetismo animale: lo sguardo, l’aptico e il postumano

Abstract

La ricerca di Roger Caillois sul mimetismo animale, avviata in ambito surrealista già negli anni Trenta, si fondava su alcuni interessi per l’entomologia e le società primitive, su solidi studi sul mito e alcune incursioni nella psicopatologia, mentre le spiegazioni fornite riconducevano il fenomeno a una necessità di assimilazione allo spazio e a una inerzia dello slancio di vita, in aperto contrasto con le teorie darwiniane della selezione naturale. Una interpretazione non utilitaristica faceva del mimetismo un “lusso dispendioso” di alcune specie animali che, per ragioni non adattive, mettono in campo alcune tipologie precise di comportamenti: l’invisibilità, il travestimento e l’initimidazione. Così riletto il mimetismo non è basato esclusivamente sulla somiglianza ad un modello, ma è innanzitutto una strategia di sguardi reciproci tra predatore e preda, un utilizzo di particolari dispositivi interni o esterni al corpo animale, che permettono di trasformarsi in altro, e una riformulazione della distinzione tra individuo e spazio circostante, secondo una teoria della visione aptica e multimodale. Sono pratiche che riguardano direttamente questioni fondamentali della visualità e inaugurano regimi scopici inusuali che, riletti in una prospettiva postumanista, consentono una deterritorializzazione delle immagini, una spersonalizzazione degli sguardi e una rifunzionalizzazione dei media, così come le hanno riconsiderate recentemente Elizabeth Grosz, Jurri Parikka e Pooja Rangan. Si tratta solo di alcune delle interpretazioni contemporanee della teoria cailloisiana sul mimetismo animale, quelle che hanno inaugurato nuove prospettive di ricerca e hanno permesso di operare quella svolta bioculturale negli studi di cultura visuale che ritrova nei primi anni del Novecento un humus fertile