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GIUSEPPE ABBATE

Città post-pandemiche tra ricerca della giustizia spaziale e nuove forme di disuguaglianza

Abstract

Le necessarie misure adottate dal Governo italiano per fronteggiare la pandemia, soprattutto nella prima fase di lockdown, con la chiusura delle attività produttive, commerciali e culturali, hanno amplificato le contraddizioni già presenti nelle città e nei territori del nostro Paese evidenziandone le fragilità. L’acuirsi di nuove forme di disuguaglianza si sta riverberando sullo status di sofferenza socio-economica in cui già si trovavano le fasce più vulnerabili della popolazione in condizione di marginalità o a rischio di povertà. Tale circostanza conferma come i luoghi in cui viviamo costituiscano, in termini di giustizia spaziale, la prova delle concrete disparità sotto il profilo dell’accessibilità ai beni primari, agli spazi e ai servizi pubblici per l’esercizio dei diritti, mettendo in discussione quel “diritto alla città” che dovrebbe invece essere sempre garantito. A fronte delle carenze dei sistemi pubblici di welfare a supporto delle fasce più deboli della popolazione, durante il periodo di lockdown, in particolare in alcuni contesti “periferici” delle nostre città (coincidenti non soltanto con quartieri di edilizia pubblica ma anche con porzioni delle città storiche, soprattutto del Mezzogiorno), sono emerse forme di reazione all’isolamento che si sono tradotte in micro-reti autorganizzate di assistenza tra gruppi sociali e attori del terzo settore, attraverso le quali sono state attivate azioni solidali e programmi di natura partecipativa che hanno supplito al mancato o tardivo intervento delle istituzioni.