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PAOLA MAGGIO

Le difficoltà probatorie per superare il ragionevole dubbio nei processi alla criminalità organizzata .

Abstract

A 34 anni dall’entrata in vigore del codice sembra essere ampiamente prevalsa l’idea di una specificità nell’accertamento processuale dei fatti di “criminalità organizzata ”, consacrata espressamente nel paradigma del “contraddittorio inquinato”, oggetto della riforma costituzionale n. 2 del 1999. Il comma 5 dell’art. 111 ha cristallizzato una deroga permanente alle regole di formazione della prova in relazione ai fenomeni criminali mostratisi capaci di «inquinare» e svilire il contraddittorio . Nella modifica costituzionale e nella successiva attuazione da parte della l. 1° marzo 2001, n. 63 si è registrata la legislativa presa d’atto della necessità di tutelare la genuinità delle fonti di prova recependo la massima di esperienza in base alla quale il silenzio dibattimentale dei dichiaranti in determinati contesti criminali può essere espressione di intimidazione, minaccia o violenza . La progressiva visione strumentale del rito penale improntata ad anomale finalità di lotta contro il terrorismo e la mafia, a dispetto del garantismo di matrice liberale , il controllo sociale che si è assegnato al processo, chiamato ad assolvere compiti di prevenzione generale in sede applicativa, hanno condotto la procedura a intaccare i monopoli definitori dell’«area del penalmente rilevante in funzione sostitutiva o integrativa del diritto penale sostanziale» . Attraverso un'analisi aggiornata di tutti i contributi giurisprudenziali più rilevanti si fornisce una visione attualizzata del doppio binario processuale in sede di valutazione della prova.