Dopo il paesaggio l'architettura
- Autori: Russo A
- Anno di pubblicazione: 2017
- Tipologia: Capitolo o Saggio
- OA Link: http://hdl.handle.net/10447/551625
Abstract
“Il paesaggio non esiste”, così esordiva un saggio di Emilio Battisti, architetto-progettista milanese invitato a dare il suo contributo teorico alla prima edizione del LId’A nel 20025. In quella affermazione netta, decisa, provocatoria quanto basta a catalizzare le curiosità, le affinità, le aderenze e i distinguo dei tanti studiosi della materia, può condensarsi il nucleo fondativo di un dibattito che, animando le indagini sul territorio negli ultimi decenni, ha per certi versi paralizzato un pensiero operativo sul territorio. Consapevoli che tutti i punti non possono diventare luoghi è necessario affermare che tutto non può essere paesaggio. L’estinzione delle grandi urgenze della città moderna, i temi connessi alla limitatezza delle risorse, la dimensione ecologica, esautorando le proiezioni urbanistiche a lungo termine, hanno incluso le indagini sul territorio nella dimensione salvifica del paesaggio inglobando in essa la scala dell’architettura. Questa, privata della necessità di rispondere ad una precisa esigenza funzionale, ha avvolto il suo statuto linguistico nell’inseguimento di modelli riflettenti le pratiche espressionistiche dell’arte confluenti in un grado zero della sua scrittura riconoscibile in una estetica della sparizione della sua presenza sul territorio. Il sistema dei collegamenti infrastrutturali e le dovute sinergie con l’esistente, la messa in sicurezza dei suoli in riparo al dissesto idrogeologico del territorio, il contenimento della dispersione urbana con la conseguente rimodulazione delle aree di margine, il restauro del Moderno, la demolizione di ampi brani di costruito, il recupero dei centri storici collinari, la reinterpretazione del patrimonio archeologico in una accezione di fruibilità contemporanea, delineano le propedeuticità di una chirurgica discesa di scala in opposizione alle estensive, quanto aleatorie, politiche di salvaguardia prive di gerarchie di intervento. In tale quadro, dopo la lunga stagione ad appannaggio delle scienze che si occupano del territorio, auspicare una provocatoria fine del paesaggio consente di riposizionare le priorità applicative sulla scala dell’architettura.