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MARCO PICONE

Decostruire le identità territoriali per la pace

Abstract

La questione dell’identità territoriale è strettamente correlata al tema della pace. A primo acchito, però, questo legame potrebbe parere vizioso e negativo. La ragione è che se, provocatoriamente, “la geografia serve a fare la guerra” (Lacoste 1976), è evidente che anche le identità territoriali servono a fare la guerra, poiché sono spesso tradizioni inventate (Hobsbawm and Ranger 2012) e creano comunità immaginate (Anderson 1983). Infatti, il loro uso strumentale e retorico è da sempre una pratica che gli stati-nazione, o soggetti politici che rivendicano una sovranità di tipo statuale, utilizzano per fomentare forme banali di nazionalismo (Billig 1995; Skey and Antonsich 2017), violenza (Sen 2006), contrapposizione e venti di guerra. È sufficiente pensare ai due più tragici conflitti in corso nel 2024. La guerra tra Russia e Ucraina corre lungo il filo dell’identità: il Donbas, regione di confine tra i due stati in conflitto, appartiene – storicamente e culturalmente – alle forze di Putin o di Zelensky? Qual è l’identità territoriale che i suoi abitanti sentono di possedere? E, spostandoci invece sul fronte mediorientale, la soluzione dei “due stati per due popoli” può davvero sedare il conflitto tra due gruppi che si percepiscono identitariamente alternativi l’uno all’altro? Eppure, le scienze sociali hanno già chiarito anni fa che ogni identità è il frutto di processi di costruzione sociale (Remotti 2001). Questo vale tanto per l’identità di genere quanto per il senso di appartenenza a un quartiere; perché dunque non dovrebbe valere per le identità regionali (Paasi 2003) o nazionali (Dodds 1993; 2004)? A tal proposito, il gruppo Identità Territoriali dell'AGeI ha riflettuto su come una identità forte e complessa come quella partenopea sia stata di volta in volta permeata da influenze esterne, e su come proprio su tale inclusività si sia costruita una vocazione identitaria sostanzialmente orientata alla pace. Proponiamo di ragionare prevalentemente sulla scala nazionale non perché non ci siano altre scale (quella urbana, per esempio) su cui varrebbe la pena riflettere, ma perché ci sembra la più adatta per indagare le relazioni con la questione della pace.