Monte Ercta e il Parco della Favorita tra metabolismi palingenetici e possibili risorgenze
- Autori: Di Benedetto, Giuseppe
- Anno di pubblicazione: 2024
- Tipologia: Capitolo o Saggio
- OA Link: http://hdl.handle.net/10447/677483
Abstract
Credo non sia casuale l’essermi imbattuto, nel dare avvio alla scrittura del presente saggio, nella lettura dell’articolo di Salvatore Ferlita, "Palermo oh triste. Quando Tomasi detestava la città", dedicato al trasferimento, tardivamente “risarcitorio”, delle spoglie del principe-scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel Pantheon dei palermitani illustri all’interno della chiesa di San Domenico. Scrive Ferlita: «Per Giuseppe Tomasi di Lampedusa Palermo era una vera e propria città di Dite, una sorta di dolente palude luciferina. Non è un caso che spesso a soccorrerlo, nella descrizione della sua città, sia stato il linguaggio dantesco, nella fattispecie quello infernale. Come conferma la lettera che il principe inviò da Londra il 4 luglio 1927: “Da qui pensando a Palermo si vede un grosso borgo, basso e rovente, chiuso in una ferrigna chiostra di dirupi; il tutto avvolto in una grande nuvola rossastra di polvere”. Nell’epistola spedita da Bressanone il 20 settembre dello stesso anno, invece, scrive: “O mia culla, o città nella quale il mio corpo pargoleggiò, perché fra la ferrigna chiostra dei tuoi monti sei tanto sudicia, triste e disperata?”». Per quanto le parole dell’autore de Il Gattopardo, se riferite al momento storico in cui sono state espresse, possano apparire non rispondenti al vero poiché condizionate da una personale e risentita visione della città che gli aveva dato i natali, alla luce di quanto accaduto in appena mezzo secolo della plurimillenaria storia di Palermo, esse si ammantano di una impressionante condizione di preveggenza oracolare. Proprio l’area cimiteriale dei Rotoli e gli spazi esterni ad essa intimamente connessi e relazionabili potrebbe costituire un campo di applicazione sperimentale, di valore esemplare e paradigmatico, dell’attuazione di un processo di recupero tra “metabolismi palingenetici” e “possibili risorgenze”. Chiediamoci: oggi è possibile coniare forme aggettivali diverse da quelle utilizzate Giuseppe Tomasi - “Sudicia, triste e disperata” - ma che, in estrema sintesi, riescano a descrivere l’anima profonda e vera del presente della nostra città?