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ENNIO MINEO

Caritas e bene comune

Abstract

Tra il XIII e il XIV secolo in Italia, e soprattutto a Firenze, prende forma una nuova ideologia del «bene comune», molto legata al rafforzamento dello «stato» comunale durante la fase caratterizzata dal dominio del «popolo» . Alla base di questo rinnovamento sta l’esplicita politicizzazione della virtù cristiana della carità. Il legame politico rientrava tradizionalmente nelle categorie dell’amicizia e dell’amore, non della carità, virtù «universale» che legava l’uomo a Dio e gli uomini tra di loro nella comunità della chiesa: il sistema tomista fornisce un rappresentazione codificata di questa logica. Viceversa, alcuni autori, da Tolomeo da Lucca a Remigio de’Girolami a Coluccio Salutati, mostrano chiaramente la trasformazione che caritas subisce: la comunità politica diventa oggetto diretto di amore di carità e i rapporti politici, tra i cittadini e tra questi e chi governa, sono rinsaldati dallo stesso tipo di «sentimento». La politicizzazione della carità è il sintomo più evidente della trasformazione del «bene comune» politico, da nozione complessa, comprensiva di tutto ciò che occorre a una comunità per sopravvivere bene (dalle virtù dei cittadini, alla pace interna, ai beni materiali) a principio spirituale e indeterminato, e dunque difficilmente definibile, che tende a coincidere con il corpo astratto della comunità, ossia con la sua «persona» trascendente. In questa trasformazione ai «beni comuni» della comunità viene assegnato un ruolo delimitato, del tutto incommensurabile con quello del vero «bene comune», oggetto delle cure dei governanti e dell’amore di carità dei cittadini.