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MATTEO DI GESU'

I Beati Paoli, ovvero come si può essere siciliani

Abstract

Il 6 maggio del 1909 appariva sul «Giornale di Sicilia» il primo episodio di un ponderoso racconto di appendice: I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano. A firmarlo, con lo pseudonimo di William Galt, era un dirigente scolastico cinquantaduenne palermitano: Luigi Natoli. Si trattava del secondo atto di una trilogia che avrebbe compreso Coriolano della Floresta e Calvello il bastardo. Il romanzo ebbe la sua prima edizione in volume solamente nel 1921. La vicenda è ambientata a Palermo e nella sua provincia, tra il 1713 e il 1719, con un antefatto risalente al 1698. Nel vastissimo e popoloso romanzo, le avventure dell’intrepido cavaliere Blasco di Castiglione si intrecciano con le imprese della leggendaria setta segreta dei Beati Paoli. I misteriosi congiurati si riuniscono in covi segreti nei sotterranei della città: il loro mandato è quello di difendere i più deboli dal prepotere dell’aristocrazia e di riparare i torti di una malagiustizia amministrata solo in funzione dei privilegi di costoro, esercitandone una propria, improntata a un’etica fondata su un alto senso di equità e sancita da sentenze inappellabili e implacabili, emesse solennemente nelle loro riunioni occulte. Romanzo popolare d’avventura, “alla Dumas”, I Beati Paoli esibisce, quasi in maniera paradigmatica, tutte le caratteristiche del grande feuilleton, sorrette da uno stile che Natoli governa con grande maestria e che ha pochi eguali nella produzione letteraria italiana. Equivocamente letto quale mito fondante della mafia, il romanzo di Natoli andrebbe letto piuttosto come un grande romanzo “politico” siciliano.