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DANIELA BONANNO

Riconoscere un dio ex senatus consulto. La disputa tra gli abitanti di Oropo e i publicani romani (73 a.C.)

Abstract

Su una stele di marmo bianco ritrovata, alla fine del XIX secolo, nel santuario di Anfiarao ad Oropo in Beozia, è conservato il testo di un’epistola in lingua greca che i consoli romani inviarono ai magistrati, al consiglio e al popolo degli Oropii, per trasmettere l’esito di una controversia presentata al senato romano. Nel 73 a.C. infatti un senatus consultum interviene a dirimere la disputa sorta tra il dio Anfiarao e i pubblicani romani, rappresentati da L. Domizio Enobarbo. Oggetto del contendere sono le terre del santuario, che i pubblicani sostengono non rientrare nei termini della lex locationis, la cui esenzione dal tributo è riservata a quelle dedicate agli dèi immortali. Sulla base, probabilmente, di un’indagine antiquaria sulla tradizione relativa alla figura di Anfiarao, i pubblicani protestano che debba essere concessa loro la fruizione delle terre, dal momento che non a un dio immortale è dedicato il santuario. Sullo sfondo si indovina l’allusione alla vicenda eroica di Anfiarao e alla sua origine mortale. È singolare che in tutto il processo che porta all’emanazione del senatus consultum, il senato non entri mai nel merito della questione sollevata dai pubblicani, se cioè si dovesse o meno considerare Anfiarao un dio e se quindi le sue terre potessero a buon diritto rientrare nelle esenzioni previste dalla lex locationis. La questione viene risolta a livello istruttorio, riportando prima l’estratto della lex locationis che elencava le tipologie di territori esenti dal versamento del tributo ai pubblicani; poi il decreto sillano dell’86 a.C. che stabiliva la tutela riservata, in esecuzione di un voto, proprio alle terre del santuario della Beozia e per finire l’escerto di ratifica di un senatus consultum dell’80 a.C.. Sulla base di questi elementi, il Senato emette parere favorevole all’esenzione delle terre degli Oropii dalle disposizioni della lex locationis, confermando sostanzialmente quanto già stabilito nel decreto sillano che qualificava Anfiarao come un dio. Il testo si presta ad essere analizzato attraverso molteplici prospettive: in prima battuta, quella della procedura che portava all’emanazione di un senatus consultum e dell’autorità di quelli precedentemente resi; in secondo luogo, quello della trasmissione della delibera in contesti di lingua greca e della loro visibilità e ricezione in loco; e per finire, quella della competenza del senato romano rispetto alle questione di carattere religioso.