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DANIELA BONANNO

Ocean’s Child Worshipping Nemesis in Ancient Rhamnous

Abstract

In un passo della Periegesi (i, 33, 2-4), Pausania riferisce che la statua di Nemesis, nel demo attico di Ramnunte, era opera di Fidia ed era stata scolpita da un blocco di marmo pario che i Persiani portarono con loro all’epoca della battaglia di Maratona per farne un trofeo. Essi erano infatti convinti che avrebbero conquistato Atene. Il Periegeta descrive nel dettaglio l’agalma della dea, definendola la più implacabile contro gli hybristai. La statua portava sulla testa una corona decorata con cervi e piccoli agalmata di Nike. Nella mano sinistra aveva un ramo di melo, mentre nella destra una phiale sulla quale erano rappresentati degli Etiopi. Pausania dice di non essere stato in grado di scoprire il motivo di tale decorazione, ma afferma di non condividere la spiegazione di coloro che sostengono che la ragione sia da ricercare nel fatto che gli Etiopi vivono presso la corrente del fiume Oceano che sarebbe, a sua volta, il padre di Nemesis. Il Periegeta procede poi a un excursus di sapore tipicamente erodoteo per dimostrare che gli Etiopi non abitano sull’Oceano e che quest’ultimo non è affatto un fiume, ma la parte estrema del mare navigato dagli uomini. Egli accetta dunque la versione locale che Nemesis sia la figlia di Oceano e la ripete ancora nel vii libro (5,1-3) dove, parlando delle due Nemesis di Smirne, precisa che gli Smirnei invece assegnano alla divinità Notte come madre, mentre gli Ateniesi dicono che sia Oceano il padre. Pausania insiste su questa doppia genealogia, che fa riferimento tanto alla Teogonia di Esiodo (vv. 211-225), quanto alla tradizione ateniese. Questo articolo si propone di esplorare le origini e i termini di questa tradizione locale che descrive Nemesis sia come una divinità che sanziona implacabilmente, sia come la figlia di Oceano: quest’ultimo, a sua volta, figura liminale che marca i limiti spaziali dell’azione umana.