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ROSARIA SCHILLACI

“Outcome” della FIV dopo coltura e transfer di blastocisti ottenute con e senza l’ausilio della cocoltura

Abstract

La coltura "in vitro" di blastocisti fu messa a punto agli inizi degli anni '80 in alcune specie di animali d'allevamento (Camous, 1984) e solo successivamente applicata agli embrioni umani. Scopo della tecnica era quello di incrementare le percentuali di impianto nei cicli FIV riducendo il numero di embrioni trasferiti. La coltura di blastocisti consentiva, infatti, di effettuare il trasferimento di embrioni con elevate potenzialità evolutive e in perfetto sincronismo con l'endometrio uterino. Attraverso il sistema della cocoltura fu possibile supportare lo sviluppo embrionario "in vitro" dallo stadio di singola cellula a quello di blastocisti con l'ausilio di monostrati cellulari costituiti da cellule del tratto genitale , per lo più dell'epitelio tubarico. Fu solo nei primi anni '90 che la tecnica di cocoltura si avvalse dell'utilizzo di cellule extra-genitali, quali le cellule epiteliali di rene di scimmmia, meglio note come cellule VERO. Le cellule VERO avevano in comune con le cellule del tratto genitale l'origine mesodermica e presentavano, inoltre, notevoli vantaggi: la facile distribuzione commerciale,la disponibilità illimitata e la sicurezza. Negli ultimi anni la cocoltura è stata soppiantata dall'utilizzo dei nuovi terreni sequenziali stadio-specifici, con una composizione simile a quella fisiologica delle secrezioni del tratto genitale e, senza dubbio, più pratici e sicuri. Lo scopo del nostro studio è quello di mettere a confronto i due sistemi di coltura embrionaria "in vitro" valutandone l'efficacia in termini di percentuali di formazione di blastocisti, impianto e gravidanza.