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SIMONE RAMBALDI

L’interesse per l’antico e i riflessi delle scoperte vesuviane nella Palermo di epoca borbonica

Abstract

Gli scavi borbonici a Ercolano e Pompei trovarono echi significativi, finora meno studiati, anche in Sicilia, e in particolare a Palermo. Le antichità vesuviane cominciarono a essere conosciute nell’isola soprattutto durante i due soggiorni che re Ferdinando IV era stato costretto a trascorrere nella capitale siciliana, in seguito all’invasione francese del Regno di Napoli. Poiché la corte borbonica non aveva voluto privarsi delle sue collezioni di antichità negli anni dell’esilio, una buona parte di esse aveva temporaneamente seguito il sovrano. Nello stesso periodo, l’interesse per l’antico coltivato dalla famiglia reale ebbe modo di manifestarsi anche per altre vie. Nelle decorazioni parietali della Palazzina Cinese nel Parco della Favorita, ma anche in altri palazzi palermitani, cominciarono ad affiorare motivi desunti dal repertorio figurativo che gli scavi vesuviani avevano rivelato. Tali spunti, tuttavia, erano in larga misura reinventati e filtrati attraverso un’ottica neoclassica. Anche dopo il loro ritorno a Napoli, i sovrani borbonici si impegnarono per mantenere Palermo “aggiornata” sulle scoperte che si andavano effettuando nel Regno. Al fine di arricchire le collezioni museali della locale Università, lotti cospicui di materiali originali furono inviati come doni regali: sculture, pitture, reperti mobili e calchi in gesso. Questi ultimi, in particolare, rappresentavano una sorta di antologia delle raccolte di scultura conservate nel Museo di Napoli, ma riproducevano soprattutto le più notevoli scoperte archeologiche del Regno delle Due Sicilie.