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ANTONELLO RUSSO

Dentro il fuori. Interno come pratica del limite

Abstract

L’idea di Interno, per consuetudine riferibile ai confini del manufatto può, in una lettura generalista della disciplina, rivelarsi portatrice di una dilatazione semantica capace di includere, nei suoi principi costitutivi, anche quelle estensioni territoriali dove le sedimentazioni antropiche, connesse ai rilievi caratterizzanti una preminente forma della Terra, descrivono invasi stabilmente conclusi e depositari di un potenziale estetico. Corroborato dalle teorie di Franco Purini, che allineano il paesaggio italiano a una sequenza di stanze, tale principio connette il rilevamento di un’internità alla dimensione antropogeografica del territorio includendo in essa anche l’estensione della città dove le piazze, taluni slarghi, i campi, le corti, gli spazi raccolti a cielo libero, ricalcando la perentorietà del foro romano, descrivono l’urbano come concatenazione porosa di vuoti delimitati dalle quinte degli edifici che vi prospettano. In seno a tale premessa, il saggio tende a esplicitare una visione dell’Interno che, prescindendo da ogni pregiudizio scalare, riconduce la sua composizione al rinvenimento di un limite, continuo o puntuale, come dispositivo rivelatore di una discontinuità tra un dentro, ritenuto sicuro e stabile, e un fuori, identificabile come infinito e indistinto. Tali assunti trovano applicazione in una serie di esiti didattici riconducibili a esperienze di docenza, tenute da chi scrive, nelle quali il tema dell’Interno trova connessioni con la scala del quartiere, del nodo urbano, della casa e, come di consuetudine, con lo spazio confinato della cellula. L’applicazione, in tutti gli esempi, di un unico metodo d’indagine configura nelle fasi di analisi e di appropriazione dei dati insediativi e costitutivi dell’esistente una dimensione conoscitiva finalizzata a un’interpretazione caratterizzata dall’introduzione di una differenza tesa a iscriversi nella storia.