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ANTONELLO RUSSO

L'ultima linea. Due progetti per Siderno

Abstract

L’innesto di un’architettura contemporanea all’interno di un centro storico delinea evidenti ripercussioni sull’immagine e la vivibilità di un abitato consolidato nel quale le istanze del restauro, della conservazione, della tutela, spesso sono poste in antitesi con le, altrettanto legittime, idee di trasformazione connesse agli usi, alle opportunità di rifunzionalizzazione di singoli manufatti e/o alla rigenerazione di ampie porzioni di tessuto. Analizzando il dibattito critico sul tema sono ricorrenti le divisioni tra coloro che ritengono necessaria una proposizione del nuovo in assoluta continuità con gli stili, le tecniche, i materiali caratterizzanti la storia stratificata dei luoghi e coloro che, invece, assegnano al contrasto dei linguaggi, alla dissonanza delle forme tra esistente e nuovo, uno spazio ideale per l’esaltazione di un’identità duale dai più ritenuta necessaria. Negli estremismi negativi di tale doppia opposta polarità è registrata, da una parte, una diffusa sfiducia sulla possibilità che i linguaggi contemporanei siano in grado di interpretare la sintassi di una scrittura strutturata nel tempo e, dall’altra, l’idea di una folta schiera di progettisti orientata a imporre, spesso gratuitamente, una soverchiante dimensione autoreferenziale reputando l’intervento in centro storico privo di aderenze a teorie specifiche. Riferendoci agli studi di Roberto Pane sul rapporto tra monumento e ambiente, alla teoria operante di Saverio Muratori incentrata sul rapporto tra tipologia edilizia e morfologia urbana, alle connessioni con l’ambiente costruito previste nei riferimenti alle preesistenze ambientali di Ernesto Nathan Rogers, sembra assodata la necessità di riconoscere nei centri consolidati una sintesi concettuale tra antico e nuovo in grado di spostare l’attenzione dal singolo manufatto ad una dimensione più ampia per estendere la comprensione critica di ogni intervento al senso del luogo nella storia cercando, caso per caso, di coglierne la sua vocazione architettonica e le connessioni con l’ambiente che lo circonda. Trattasi, ovviamente, di una via che, sottendendo a più aspetti, si mostra soggetta ad un’interpretazione non codificabile in un decalogo di norme specifiche, se non nelle linee guida generali. Identificando i centri storici come opera collettiva si delinea, dunque, la necessità di uno sguardo ampio e generalista teso a considerare in un centro abitato le connessioni tra masse e spazi finalizzando ogni intervento a salvaguardare un luogo nel suo insieme e non come integrale conservazione di una somma di particolari. In tale quadro il progetto di architettura, pur disponendo una modificazione, mantiene i presupposti per una prosecuzione dei caratteri insediativi mediante l’individuazione di quella che Vittorio Gregotti indica come l’operazione minima, ovvero quell’atto necessario in grado, con il minimo dispendio di risorse ed energie, di ri-significare i contesti e proporre per i luoghi un’identità in linea con il nostro tempo.