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ARMANDO PLAIA

Da “inconcludente superfetazione” a quasi contratto: la parabola ascendente del “preliminare di preliminare”

Abstract

Per le Sezioni Unite, “in presenza di contrattazione preliminare relativa a compravendita immobiliare che sia scandita in due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice di merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex art. 1351 e 2932 c.c., ovvero anche soltanto effetti obbligatori ma con esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento. Riterrà produttivo di effetti l’accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità dell’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto stipulando, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale” (questo il principio di diritto cui dovrà attenersi il giudice del rinvio). Dunque, pare di capire, se il preliminare di preliminare non è in realtà già contratto preliminare, anche non eseguibile in forma specifica, non è affatto scontata la sua nullità, come sin qui ritenuto dalla più recente giurisprudenza di legittimità: l’accordo con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare è valido qualora emerga la configurabilità dell’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi. Ma questo accordo, sembra di capire, non è un contratto, è un quasi contratto. Esso infatti non è il preliminare debole, cioè non eseguibile in forma specifica, ed il rapporto obbligatorio sorge ex art. 1173 c.c., in ragione di un fatto o di un atto idoneo a produrre un’obbligazione secondo l’ordinamento giuridico. L’obbligo del cui inadempimento o violazione si discute non nascerebbe dunque da contratto, ma dalla legge, cioè da un “quasi contratto” ex art. 1173 c.c. Non solo, ma la verifica volta a valutare la meritevolezza dell’accordo (non contrattuale), in ragione della sua differenziazione dal contratto preliminare che le parti si obbligano a stipulare, sarebbe correlata alla sussistenza della causa concreta, lo scopo pratico dell’affare: causa concreta che però qui varrebbe a sancire la rilevanza giuridica non già di un contratto, ma di un quasi contratto. Così stando le cose, non è chiaro cosa sia questo accordo di cui, in discontinuità con il passato, le sezioni unite sancirebbero la rilevanza giuridica, seppur in presenza di una causa concreta. Non è infatti agevole comprendere cosa distinguerebbe tali accordi, riconducibili alla vicenda del preliminare di preliminare, da i c.d. accordi preparatori – minute, puntuazioni -, i quali non vincolano alla conclusione del contratto, ma nella misura in cui comprovano lo stato di avanzamento delle trattative, vincolano alla loro prosecuzione. Per cui, chi abbandoni le trattative o le prosegua ma rimettendone in discussione i punti su cui era stato raggiunto un accordo, incorre in responsabilità precontrattuale, riconducibile al più ampio genus della responsabilità contrattuale, ancorché il danno sia risarcibile nei limiti dell’interesse negativo (da ultimo C. SCOGNAMIGLIO, in Diritto civile, diretto da Lipari e Rescigno, III, Obbligazioni, II, Il contratto in generale, Milano, 2009, 240).