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SALVATORE DAMIANO

Dal disegno al virtuale. Quando la realtà distorce il progetto: un palazzo romano di Gaetano Rapisardi

Abstract

In Italia durante la prima metà del XX secolo si registrò una rivoluzione copernicana nei modi di rappresentare il progetto architettonico: in riferimento cronologico alle due decadi della dittatura fascista, vi fu una crescente attività costruttiva che ebbe il proprio preludio sui fogli disegnati dagli architetti. In questa produzione progettuale furono numerose le opere rimaste sulla carta, così come quelle realizzate in maniera diversa rispetto a quanto ipotizzato inizialmente. L’architetto più noto di quel periodo fu probabilmente Marcello Piacentini, il cui operato si svolse principalmente a Roma grazie anche alla collaborazione di alcuni “giovani” che negli anni a seguire godettero di una certa notorietà. Tra queste figure, oltre ai più famosi Giuseppe Vaccaro e Luigi Piccinato, va ricordato l’architetto aretuseo Gaetano Rapisardi, il quale già negli anni ’30 cercava di affrancarsi dall'entourage piacentiniano cimentandosi nel progetto dei cosiddetti “intensivi”, ovvero quegli edifici plurifamiliari di abitazione in linea, realizzati nelle aree di espansione dell’allora periferia romana. In tal senso risulta emblematica l’esperienza della Casa Signorile in Piazza Istria del 1934, commissionata a Rapisardi dalla Società Edile Romana Anonima, in cui l’architetto siciliano ipotizza due volumi architettonici di dimensioni diverse, collegati da un sistema trilitico che figurativamente li separa e li unisce al tempo stesso, ma che svolge un’ulteriore duplice funzione: di ingresso monumentale e di dispositivo ottico verso una pineta interna oggi fagocitata dai palazzi. L’edificio, poi realizzato in maniera profondamente diversa rispetto all’ipotesi progettuale qui analizzata, avrebbe potuto vantare un ruolo scenografico di fondale su un luogo che non doveva essere soltanto uno snodo di flussi ma una vera e propria piazza fondata su un concetto chiaro di spazio urbano. Non a caso, Gaetano Rapisardi usa la prospettiva come strumento di controllo del linguaggio stereometrico dell’architettura fermandosi però al solo edificio avulso dal contesto. Nel complesso i disegni d’archivio rinvenuti risultano insufficienti a descrivere esaustivamente il progetto, che rimarrebbe inesplorabile sotto diversi punti di vista. Il passo in avanti che si vuole compiere attraverso questa analisi consiste nell’applicazione dei principi operativi della restituzione prospettica a partire dall’unica prospettiva accidentale ritrovata: in questo modo è possibile dedurne le rappresentazioni in proiezione ortogonale degli alzati; successivamente questi ultimi, insieme agli altri elaborati d’archivio (una pianta e una sezione), permetterebbero la costruzione di un modello tridimensionale virtuale dell’edificio in grado di simulare dinamicamente delle viste, anche nell’ambiente urbano. La rielaborazione analitica condotta a partire dal disegno prospettico va intesa come un viaggio, quantunque figurato, avente una precisa caratteristica: quella di possedere il medesimo punto di vista scelto dal progettista per la sua rappresentazione. Inoltre, il modello 3D ottenuto restituisce qualcosa che non esiste nella realtà fisica, consentendo a chi lo osserva di valutare le caratteristiche potenziali dell’architettura rimasta latente, azione altrimenti non possibile attraverso la sola osservazione dei disegni originali. Si tratta di un percorso ermeneutico a più tappe condotto su un doppio registro: empirico, poiché legato alla sfera dell’immaginifico, e scientifico, in quanto frutto dell’applicazione dei principi della Geometria Descrittiva.