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FRANCESCO CALLARI

L’acquisizione della prova tramite tortura e l’operatività della sanzione processuale

Abstract

Nel 2017 il legislatore italiano ha espressamente introdotto nel codice di rito penale la previsione per cui le dichiarazioni o le informazioni ottenute tramite il reato di tortura non sono comunque utilizzabili, salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al fine esclusivo di provarne la responsabilità penale (art. 191 comma 2-bis c.p.p.). A questo riguardo, lo scritto mira, anzitutto, ad approfondire il ruolo e le finalità svolti da tale norma nell’ambito del sistema processuale penale. In particolare, l’Autore, oltre a compiere un’attenta analisi della portata della sanzione processuale ricollegabile alle prove acquisite con la tortura, intende svolgere alcune riflessioni critiche rispetto alla vexata quaestio della “inutilizzabilità derivata”, considerando specificatamente – e tentando di superare – la dicotomia manichea tra la teoria del “male captum bene retentum” e la dottrina dei “fruits of the poisonous tree”.